Le speranze malriposte nella Regione Campania In primo piano

Le Regioni, previste dall’art.114 della Costituzione, videro la luce con le elezioni del 7 e 8 giugno del 1970. L’anno prossimo ne celebreremo i 55 anni. Avremo tempo di fare un bilancio, soprattutto per quel che riguarda casa nostra, ovvero la Regione Campania.

Quel che vorremmo raccontare è, in qualche modo, lo spirito con il quale si decise di dare esecuzione alla Costituzione. Rispetto alle ispirazioni dei “padri costituenti”, le formazioni politiche affermatesi nei quasi venticinque anni dal referendum istituzionale che diedero vita alle regioni non erano le stesse del “blocco” iniziale favorevole alla nascita di questi nuovi enti territoriali. L’Italia repubblicana aggiungeva, infatti agli enti locali dello Statuto Albertino (comuni e province) questo nuovo ente, “intermedio” con l’apparato centrale dello stato.

Molte speranze furono riposte nella efficacia di questi nuovi enti, perché le rappresentanze elette (consiglieri regionale) erano sicuramente espressione dei vari pezzi di territorio assegnati come circoscrizioni elettorali. Non tanto noi campani, abbastanza vicini a Roma capitale con tutto l’armamentario di ministeri, agenzie e entità nazionali, ma gli stessi torinesi (che avevano perduto lo stato di capitale), o i milanesi o i veneti, piuttosto che siciliani e sardi o calabresi e pugliesi erano portati a immaginare il decentramento come un fattore positivo del funzionamento del rapporto cittadino-stato.

In Campania una forte predisposizione favorevole era stata preparata non tanto dai partiti politici ma dal mondo accademico e dalla burocrazia statale. Lo “Schema di sviluppo economico della Campania”, relativo al quinquennio 1966-70, redatto sotto la vigilanza del Comitato Regionale per la Programmazione Economica della Campania, resta un documento al quale attingere per una ricca dose di informazioni e di orientamenti. Lo stesso Comitato Regionale, sotto la guida di Vittorio Cascetta, pubblicò poi nel 1970 un volume di trecento pagine con le “Proposte per il Piano di Sviluppo della Campania 1971-75”.

La cosa più incredibile (per chi oggi è abituato alle dichiarazioni avventate e alle promesse facili) è che il lavoro di personalità, che davano senso all’azione degli uffici pubblici impersonati, procedeva con rigore scientifico ma con la serenità di chi sa che sarà ascoltato.

Il lavoro di questo Comitato Regionale non fu fatto solo nelle biblioteche, ma soprattutto sul territorio. Anche a Benevento questi signori venivano a presentare le loro intenzioni, ma soprattutto per rendersi conto della disponibilità di un ceto intellettuale in grado di tenere il passo e di “partecipare” con documenti e testimonianze. Furono così rinvenute sul territorio le ragioni per la convalida della proposta della istituzione a Benevento della seconda università della Campania. Un luogo di confronto fu la Biblioteca della Cassa per il Mezzogiorno a via dei Mulini, diretta da una giovane Isabella (non ricordo il cognome) spedita qui dal Veneto (come dal Veneto veniva spedita dalla Cassa per il Mezzogiorno in qualità di assistente sociale Beatrice Veronese, poi fermatasi qui come insegnante elementare, oggi vedova del chirurgo Massimo Bozzi).

Un centro culturale “aperto” fu in quegli anni ’60 la FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiani), dalla cui vivacità trasse spunto l’arcivescovo Raffaele Calabria per far sbarcare a Benevento un Centro Studi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che mandò a Benevento professori del calibro di Cesare Saibene a dialogare di economia e di sviluppo. Fu possibile incontrare a Palazzo Arcivescovile il Rettore Giuseppe Lazzati, al quale osai proporre una “facoltà di giornalismo”: proposta apprezzata ma irricevibile “per i tanti debiti messi in bilancio per la creazione della facoltà di Medicina a Roma” (Lazzati dixit).

Gli amministratori self-made delle opache giornate di questo spicchio di terso millennio potrebbero arrossire se gli offrissi in lettura un volume di seicento pagine del 1968 varato da Amministrazione Provinciale, Camera di Commercio, Ente Provinciale per il Turismo e Comune di Benevento dal titolo Studio per la valorizzazione agricola, lo sviluppo industriale e turistico della provincia di Benevento. Volete sapere chi erano le personalità a capo di questi uffici? Pasquale Saponaro, presidente dell’Amministrazione Provinciale; Giuseppe Alberti, presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo; Vincenzo Cardone, presidente della Camera di Commercio, Industria Artigianato e Agricoltura, succeduto nel 1966 a Ferdinando Facchiano; dal sindaco del comune capoluogo Pasquale Meomartini. Al volume, sotto la guida di Fausto Pitigliani (presidente dell’Istituto di Rilevazioni Statistiche e di Ricerca Economica) collaborarono in quegli anni il professore Carlo Cupo per l’economia agraria, la dottoressa Mariadelaide Franchi per la Statistica, l’architetto Sara Rossi per la parte urbanistica (anni dopo la Rossi elaborerà il piano del centro storico della città con il contributo di Federico Zevi. Di “particolare rilievo” dice la “presentazione” di Pitigliani i “generosi contributi” di Alfredo Zazo e Mario Rotili.

Che cosa ha prodotto tutto questo lavoro? Due esempi: la Provincia progettò e realizzò la superstrada Benevento-Telese-Caianello e la Benevento-Campobasso (d’intesa con le province interessate delle vicine regioni Molise e Lazio).

Noi in quegli anni ponevamo grande fiducia nella Regione “di là da venire”. Ora che la Regione è venuta e dura da oltre mezzo secolo, qualcuno potrà dire che abbia “tagliato” con due superstrade “regionali” i territori delle zone interne?

I volumi che ho citato fanno parte del patrimonio bibliografico di assessori, deputati, sindaci e consiglieri vari? Qualcuno ne riprenderà la lettura?

Negli anni Sessanta del secolo scorso si parlava di “ribaltamento” tra aree costiere e aree interne, tra la “polpa” e l’”osso”. Manlio Rossi D’Oria, chi era costui?

MARIO PEDICINI