L'Europa lontana In primo piano
Non abbiamo raccolto, perché non abbiamo seminato, o seminato male. Così direbbe un qualsiasi contadino rimasto a contatto con la campagna.
Ma anche in agricoltura non ci sono più i contadini di una volta, figurarsi se in politica si possa, oggi, utilizzare la saggezza delle favole per interpretare l’esito delle ultime elezioni.
Una cosa è certa: la disaffezione degli elettori dall’esercizio di un sacrosanto diritto fondamentale. Gli ingredienti di una tornata elettorale sono una prospettiva storico-politica, una varietà di proposte programmatiche, la candidatura di personalità idonee a rappresentare un “quadro” dei prossimi cinque anni.
Si è parlato di Europa in questa campagna elettorale? Della storia dei primi tentativi, del Mercato Comune Europeo, del Trattato di Roma del 1957, dell’allargamento a nuovi soci, della elezione a suffragio universale del Parlamento della UE, della creazione di una moneta unica, dei tentativi di una sistema di difesa comune?
No. Le elezioni “europee” sono servite in Italia solamente per “verificare” la consistenza numerica dei partiti: da una parte la coalizione di governo, con una sfida anche all’interno (tra Forza Italia e la Lega), e dall’altra tutti gli altri, chi ansioso di accucciarsi sotto il tettuccio del PD e chi indeciso tra la conferma di una subordinazione o l’azzardo a sostituire nella coalizione di gverno un possibile allontanamento della Lega.
Tanta era la severa volontà di agguantare il 4 per cento dei voti che i gruppi che potevano contare su un cuscinetto di voti intorno al 5 per cento si sono sfrangiati alla ricerca di visibilità (ah, la televisione!) perdendo di vista qualche seggio a Bruxxelles.
Nasce da questa prospettiva di “giocare in casa” la decisione di evitare candidature di personaggi valutati come di prestigio europeo (o comunque internazionale). Lo stesso ingaggio del persoaggio Vannacci serviva alla Lega a tenersi sopra la soglia di Forza Italia. Il calcolo non è stato troppo preciso, ma i voti riportati da questo homo novus sono stati preziosi nella sistemazione delle “quote” di peso politico nella governabilità del Govermo (scusate il pasticcio).
Qual è il prestigio internazionale degli eletti? A chi pone questa domanda si obietta che non è nel Parlamento che si giocano le sorti dell’Europa, e dell’Italia nel contesto europeo. Ma chi sta nel Parlamento ha la possibilità di mettere a punto un possibile protagonismo, una capacità di relazionarsi con i rappresentanti dei paesi con maggiore prestigio, una occasione di “racontare” l’Italia a rappresentanti di altri Paesi interessati a intavolare condizioni di reciprocità.
A Benevento stanno ancora là i tabelloni per l’affissione dei manifesti di propaganda elettorale. Ogni lettore è in grado di farsi un giro per ri-scoprire che sono apparsi non più di quattro-cinque nomi. E volete che la gente comune non afferra da un simile particolare che, in fondo, non c’è gioco. Volendo raccogliere qualche volantino per imparare qualcosa, sulla personalità d un candidato, su cosa propone al cittadino europeo del Mezzogiorno d’Italia, su cosa si propone di fare il candidato, vi troverete spaesati.
Non poteva andare diversamente in una Italia che ha distrutto i partiti politici, cambiandone i nomi (solo il PD usa il termine partito), sfumandone i colori e elevando a simbolo di appartenenza il nome di un transitorio ducetto.
In questa Italia che ha voluto voltare pagina senza fare i conti col proprio passato (che è patrimonio comune, con attivi e passivi che non si possono nascondere) appare normale che il governo, dovendo sfidare a pacifismo gli eredi del comunismo, invochi la costituzione “di comodo” per tenersi lontani da fronti di guerra. A tre giorni dal voto non s’è trovato un candidato in grado di spiegare ai giovani che avrebbero votato per la prima volta che ci facevano in televisione quei vecchi in Normandia tra sterminati cimiteri di guerra. Le pagine dei giornali sono piene di morti ammazzati per gelosia, o violenza sessuale, o incidenti stradali. Sono notizie che attizzano i lettori, fino a fare la spesa di un giornale.
Sapere come è finita una guerra mondiale, con quaranta milioni di morti, e perché nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU i membri permanenti sono i vincitori della seconda guerra mondiale sono cose che non interessano nessuno.
Famiglia, scuola, chiesa hanno qualcosa da dire su questo raggelante orizzonte? Perché, cari lettori, non è solo di elezioni europee che si deve discutere. Una volta si diceva “il bene comune”. E’ il pane e companatico dell’impegno e della responsabilità.
MARIO PEDICINI