Lo strano caso dell'avvocato Perentorio e del giudice Ordinatorio In primo piano

Nel tribunale di Vattelapesca l’avvocato Perentorio è protagonista dell’ennesima tragedia che si consuma nella causa innanzi al giudice Ordinatorio.

Perentorio è preoccupato perché il giudice gli ha appena assegnato il termine suo omonimo (cioè, perentorio) entro il quale depositare la comparsa conclusionale. Gli viene in mente la scena del frate trappista dell’indimenticabile “Non ci resta che piangere” il quale, rivolto a Troisi, ripete “fratello ricordati che devi morire”.

Solo che a differenza del Maestro, che ha liquidato la questione con il colpo di genio “adesso me lo scrivo”, il dramma dell’avvocato Perentorio è non solo di averlo già scritto nell’agenda, ma il ricordare che ogni giorno che passa è un giorno in più ed un giorno in meno verso la scadenza del suo omonimo termine.

Alla fine, sudando le solite sette camicie, sa che anche questa volta riuscirà a rispettare l’improrogabile scadenza e depositare la comparsa entro il termine… perentorio, incastrandolo fra le molteplici scadenze assegnategli per il deposito di atti degli altri giudizi a lui affidati.

Insomma, è una continua quadriglia di termini perentori, sempre più brevi e stringenti, che si incrociano, soprappongono, moltiplicano con una perfidia impressionante.

E’ come il giocoliere che lancia prima due palline, poi tre, quattro, cinque, sei, sette... in un crescendo rossiniano, rendendo il numero sempre più difficile e spettacolare.

Il giocoliere del processo.

Solo che se sbaglia il numero non avrà possibilità di ripeterlo. La pallina caduta a terra (la data non rispettata) non può essere raccolta ed il numero ripetuto. E’ semplicemente bruciato. Scaduto il termine perentorio (cioè, a pena di decadenza) l’atto non si può più depositare.

Il giocoliere non può trasformarsi nel mago del processo, come, invece, qualche volta avviene a circo.

Questa sensazione di equilibrismo senza rete crea tensione e rende spesso l’avvocato Perentorio di un ottimo… cattivo umore.

Il giudice Ordinatorio, al contrario, è una persona gioviale, rubiconda, rilassata. Nulla lo smuove o lo preoccupa.

Dirige i processi come il direttore di orchestra la sinfonia. Ne conosce alla perfezione i movimenti. Adagio o andante, nella maggior parte; allegretto, qualche volta; allegro con brio, raramente; vivace o sostenuto, rarissimamente.

I termini per emettere provvedimenti e decisioni per lui sono ordinatori (nomen omen dicevano i Romani), cioè se non li rispetti… non succede niente. Quindi, spesso, molto spesso, forse troppo spesso, finisce per abusare del tempo.

E’ bene che la causa si sedimenti nell’alveo del processo, che si stemperino gli ardori iniziali delle parti nella riflessione del panta rei. Come nel ricordo della romantica caffettiera napoletana di una volta: un rito da assaporare goccia a goccia. Quasi una religione.

Succede allora che nel tribunale di Vattelapesca l’oggetto della dialettica travalica i confini della causa per spostarsi sul crinale filosofico della concezione del tempo nel processo.

L’avvocato Perentorio aspira ad avere un giudice suo omonimo ed il giudice Ordinatorio viceversa.

Caro giudice anche lei dovrebbe avere termini perentori entro i quali emettere i provvedimenti, con la previsione di sanzioni per la loro inosservanza; possibilmente, di natura economica, e non la solita tiratina d’orecchi o il semplice richiamo di famiglia da parte… del Consiglio Superiore della Magistratura. Credo che finirebbe con l’apprezzare maggiormente anche il ruolo dell’avvocato”.

Caro avvocato Perentorio lei non si rende conto del carico di lavoro al quale ogni giudice è sottoposto. Solo un termine ordinatorio costituisce garanzia di una decisione sufficientemente informata ed approfondita”.

La querelle fra l’avvocato Perentorio ed il giudice Ordinatorio si trascina e si alimenta sempre di più, raggiungendo punte oniriche con dotti richiami giuridici, riferimenti storici e statistici, finendo per coinvolgere anche loro colleghi.

Pian piano si ingrossano le file degli Ordinatori e dei Perentori, come novelli guelfi e ghibellini, e nell’apatico tribunale di provincia finalmente si rivede un po’ di vivacità.

Il medico Colluttorio, presente all’udienza come consulente del giudice in una causa, visto l’animarsi dei contendenti e l’allungarsi dell’udienza, decide di intervenire per porre fine alla discussione.

Signori, vi prego è inutile agitarsi. E’ bello vedere come avete a cuore la questione. Nella giustizia, come nella sanità, la variabile tempo è determinante per la vita degli uomini.”

Quindi, basterebbe che ogni giudice si ricordi che un giorno può diventare parte, ogni avvocato che può diventare giudice ed ogni medico che può diventare paziente, per cambiare la prospettiva del problema.”.

Silenzio in aula, sguardo ammirato di avvocati e di giudici, zittiti e, una volta tanto, messi d’accordo dall’intervento di un medico.

E, come si dice, nelle favole “vissero tutti felici e contenti”… continuando a ricadere nel peccato originale.

UGO CAMPESE