Mamozio & Malies... Benevento capitale delle opere incompiute In primo piano
“Un deplorevole elenco di cose fatte molti anni fa, e fatte male!”.
Con questa frase del famoso John Ford si potrebbe descrivere Benevento, eterna capitale dei lavori incompiuti, dove si fa fatica a trovare un senso alle svariate opere iniziate e mai terminate e, ancor di più, una giustificazione all’inerzia di chi l’ha amministrata negli anni, per quelle mai avviate. Una città che non si rinnova è sicuramente una città morente, ma più della quantità di cantieri bisognerebbe, forse, badare alla qualità di quanto si sta o si è costruito fino a quel momento.
Così tra festose inaugurazioni, che non smentiscono mai la loro natura politica-elettorale, nella nostra città esistono diverse opere incomplete di edilizia pubblica e privata che mal si conciliano con il prestigio culturale universalmente riconosciuto.
In pieno centro storico, proprio dinanzi al Duomo, un interminabile cantiere deturpa da troppi anni quello che dovrebbe rappresentare il biglietto da visita storico-religioso di Benevento. Progetti milionari avviati senza tenere conto delle reali necessità della città si stanno protraendo oltremodo tra lungaggini tecniche, interruzioni e carte bollate trasformando l’intero centro abitato in un eterno cantiere non simbolo di crescita e sviluppo, bensì triste esempio di cattiva amministrazione.
Una sempre minore tutela del paesaggio naturale e urbano ha permesso che l’apparente tranquillità del più centrale dei quartieri di Benevento venisse bruscamente interrotta con la realizzazione di un mastodontico edificio, avulso da qualsiasi contesto architettonico circostante.
Pur volendo tralasciare opinabili considerazioni estetiche sul manufatto, rimane un fatto incontrovertibile che l’eternità dei lavori, unito ad un pessimo tempismo finanziario, hanno danneggiato oltremodo il decoro e la vivibilità dell’intera area dinanzi la nostra (amata?) cattedrale; la stessa che risorta dalle ceneri della seconda guerra mondiale grazie alla dedizione di una popolazione stremata, sembra quasi arrendersi impotente dinanzi a tanta imperizia.
Con grande dispiacere Janua Major, la maestosa porta di bronzo dalle settantadue formelle, condivide la scena con pilastri di cemento e cubi di tufo claustrofobici; a rendere ancora più incresciosa la situazione c’è la totale incertezza sulla destinazione e l’uso finale dell’opera in cantiere. Pensato inizialmente come museo di arte contemporanea, l’edificio si rivela inadatto a tale scopo per via delle dimensioni e della disposizione dei volumi interni e, nell’imbarazzo generale, si bandiscono gare e concorsi per trovare uno scopo a tanto denaro speso.
Logica vuole che l’edilizia pubblica soddisfi ad una necessità preesistente cui le amministrazioni locali cercano di adempiere con contributi e finanziamenti affinché tale bisogno sia soddisfatto nell’interesse dell’intera collettività: uffici, asili, scuole, sono tutte opere rispondenti ad una implicita o esplicito richiesta della comunità.
Nel nostro caso, invece, sembra quasi sovvertirsi l’ordine naturale delle cose: dapprima cementificando e investendo rilevanti risorse e solo successivamente preoccupandosi di trovare un senso a quanto realizzato con un asta infinità di idee in nome della pubblica utilità.
Come se non bastasse, a pochi metri di distanza, un altro scempio si mostra insolente a quei turisti che a fatica si riesce ad attrarre in città: il Malies.
Nato dalla ristrutturazione del vecchio mercato generale in piazza Commestibili, il suo scopo era quello di riqualificare l’area urbana che dal Duomo si spinge fino allo storico quartiere Triggio, all’altezza delle poste centrali.
Intavolato negli anni della giunta di Antonio Pietrantonio, il progetto subirà fasi alterne con interruzioni e intoppi burocratici, rimanendo incompiuto per tutto il mandato del sindaco D’Alessandro e vedendo l’inaugurazione dopo molti anni dal suo inizio, con la precedente amministrazione Pepe.
Dopo il taglio del nastro e le foto di rito, sembrò effettivamente che il suo scopo potesse essere raggiunto con apprezzabili risultati in termini commerciali e occupazionali: aprirono negozi, una libreria, un bar; sempre un buon richiamo con la sua fragranza di caffè.
L’idea in controtendenza di aprire una galleria commerciale in un punto cosi nevralgico per Benevento sembrò innovativa e coraggiosa, data l’intenzione scellerata di spostare sempre di più il commercio al di fuori delle mura cittadine, ma purtroppo la crisi non tardò ad abbattersi sulla città nel momento meno opportuno e la chiusura delle attività presenti consegnarono ancora una volta l’intera struttura al degrado e all’abbandono come lo conosciamo ai giorni nostri.
La contrazione nei consumi di beni e servizi, unito alla disattesa promessa di un parcheggio sotterraneo e funzionale a Porta Rufina, che sarebbe servito a tamponare l’eterna carenza di posteggi, hanno fatto si che ingenti investimenti andassero definitivamente sprecati con enorme danno per la nostra comunità.
Nella sfortunata situazione finanziaria nazionale e locale è assai arduo immaginare una sistemazione rapida e soprattutto dignitosa di un punto culturale e storico così strategico e anni di proclami di questa o di quella giunta hanno disilluso a tal punto i cittadini da aver spento in loro ogni speranza. Fiumi di parole sono state dette per indicare questa o quella o quell’altra ancora soluzione ma, in una città sempre più vuota, in un corso Garibaldi sempre più deserto, rimbalzano con eco sulle vetrine impolverate senza più nessuno ad ascoltarle.
ANTONINO IORIO