Restano responsabilità plurali In primo piano
Non c’è solo la autonomia differenziata a tenere banco nel chiacchiericcio politico, ci si mette anche la proposta di eliminazione del reato di “abuso d’ufficio”. Se ci fate caso, in entrambi i casi e per altri ipotizzabili, viene alla fine in evidenza una questione di fondo: la responsabilità. Ebbene, la responsabilità non è un optional, come il navigatore sulla Cinquecento di venti anni fa. La responsabilità, lo dice la parola stessa, è “rispondere” del proprio operato.
Un esempio “generale” è quello per cui esiste un codice penale (in Italia quello con 649 articoli del 1930): lì sono tassativamente elencate le ipotesi di comportamenti che richiedono una sanzione (una pena) alla quale provvede un “potere” dello Stato, la magistratura penale in tutte le sue varie articolazioni.
Per la previsione di attività illecite che non ricadono sotto la scure del giudice penale c’è il codice civile del 1942 che arriva a 2969 articoli: il commercio, le eredità, i contratti, le retribuzioni…
Molto più vasto è il campo della responsabilità nel campo della amministrazione pubblica. C’è stato chi ha tentato di redigere anche per questo vasto campo un Codice per richiamare almeno i principi fondamentali che, rispettando la Costituzione, possano salvaguardare le responsabilità dei pubblici funzionari e gli interessi dei cittadini e di tutte quelle entità (comprese quelle dell’alta politica) che operano in una foresta di enti (Stato, Regioni, Comuni, Province, Autorità…).
Ecco un paio di casi appena emersi nella nostra amata città.
Il Tribunale penale non ha condannato il dipendente comunale coinvolto nel taglio dei pini del Viale degli Atlantici di quattro anni fa. Esultanza di un assessore per pro-(breve) tempore (di allora). Con la sentenza non sono rinati quei circa venti pini abbattuti nella “prima fase”. Puzzò di bruciato (non penale) la fretta con cui furono tolte tutte le targhette nere con i numeretti che contrassegnavano i pini del Viale (una sorta di censimento, certo non in linea con la disciplina del decreto ministeriale del 10 marzo 2020) e rinominati (con nuove targhette bianche) i pini rimasti al loro posto. Fatta salva la lunga indagine del giudice penale, non è che l’Amministrazione Comunale non abbia il dovere di accertare il grado di responsabilità dei tanti che quella vicenda hanno creato, assecondato, corretta? Si può generosamente riconoscere una totale ignoranza della materia per sindaco e assessori che all’unanimità decretarono l’abbattimento di tutti i pini: ma i funzionari, i tecnici non avranno commesso reati, ma hanno provocato delle spese? Per i soli tagli? Per il rifacimento pino per pino della numerazione da nera a bianca? Per le perizie che sono diventate necessarie? Ecco, per la macchina amministrativa del Comune non c’entra il sindaco. Saltiamo il segretario generale? Restano i dirigenti come i titolari di una azione di vigilanza e controllo. Ricordando che omissione di atti di ufficio ricade pure nel penale.
Un’altra “fattispecie” (ogni tanto ci vuole la parola con le virgolette), che offre ripetute repliche, non bastando le sedute di consiglio comunale e commissioni, anche per dichiarazioni alla stampa di consiglieri vari, è quella del riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
Nella pubblica amministrazione vige il principio “Tutto nel bilancio, nulla fuori dal bilancio”. Sembrerebbe che al Comune di Benevento non è appostata una consistente dote per far fronte a spese rese obbligatorie per sentenza di giudici. E’ il caso più banale quello del dipendente a cui è stato negato lo straordinario o non è stato pagato lo stipendio a seguito di sanzione disciplinare al quale, però, il giudice ha accolto la domanda di pagamento.
La moda è che si va in consiglio comunale per il “riconoscimento di debiti fuori bilancio”. Con la “sovranità” del Consiglio succede una specie di carta vince e carta perde. Le opposizioni votano contro, la maggioranza è costretta a votare a favore. Finito?
Manco per idea. Cioè si dà l’impressione del “tutto a posto”, ma si trascura un altro principio fondamentale della pubblica amministrazione, la quale si deve comportarsi come il buon padre di famiglia. E viene in campo la funzione e la responsabilità dei dirigenti, che non cessa se è il sindaco o l’assessore Tizio a volere che l’impiegato rompiscatole venga esemplarmente punito negandogli un pezzo di stipendio, magari a causa di una sospensione per motivi disciplinari.
Il dirigente, tenuto per legge a fare lealmente gli interessi dell’ente da cui dipende, viene meno alle proprie competenze se non valuta rigorosamente l’interesse dell’ente anche dal solo punto di vista economico a resistere in giudizio o ad accedere ad una “transazione” bonaria (ben scritta e argomentata) che ponga fine alla lite, eliminando o riducendo le spese di una soccombenza.
La valutazione dell’interesse dell’Ente a desistere e a predisporre la via della transazione è di competenza del dirigente.
Quando succede che al giudice potrebbe ricorrere un piccolo esercito di dipendenti, ciascuno con un proprio avvocato, il dirigente ha tutto il diritto di valutare se sia più conveniente trovare la via di un accordo consensuale anziché rischiare la condanna, con il calcolo di tutto quello che comporta il “riconoscimento di debito fuori bilancio” (pagamento di quanto negato, interessi, parcelle di avvocati…anche di quello comunale!).
E se, come è possibile, non ci sono prove di una “pressione” irresistibile (cui resisti non potest), come se la cava il dirigente se qualcuno voglia chiamarlo in causa per non aver esercitato i propri doveri nell’interesse del Comune da cui dipende?
Direi che per adesso basta per rovinare la pax vacanziera. Ma questa Italia vogliamo iniziare a salvarla partendo da Benevento? Certo non piagnucolando sul “diluvio” del 2 luglio che ha allagato il Lapidarium che ha “retto bene” (comunicato di due assessori associati), l’acqua è entrata per colpa di certe tubazioni che arrivano (o escono, non l’ho capito) dall’artistico manufatto non ancora festosamente inaugurato.
MARIO PEDICINI