Ricambio di classe dirigente In primo piano

In democrazia il ricambio della rappresentanza popolare obbedisce a due scopi: la ricerca di una rappresentanza quanto più espressione delle diverse linee d socialità; allontanare efficacemente il consolidamento di leaderismi che tendono a bloccare il meccanismo del rinnovamento/sostituzione preferendo la istituzione di centri di potere resistenti oltre scadenze di sorta..

Nei giorni che ci avvicinano al 25 aprile, che ottant’anni fa apparve come una nuova alba, non c’è angolo degli apparati politici (partiti, sindacati, istituzioni democratiche) dove non si discute della opportunità/necessità di modificare certe norme che hanno fissato termini di durata di certe cariche e limiti alla eventuale Il caso De Luca, che in Campania vuole candidarsi (e diventare presidente della Regione) per la terza volta, speculando su un italiano sghembo col quale è scritta la legge, è solamente (per le virtù del protagonista) il caso più macchiettistico. C’è già m altro presidente, in una regione apprezzata per la laboriosità e l’efficienza (salvo poi a scoprirsi allagata dalle piogge in stabilimenti industriali autorizzati laddove in altri tempi c’erano solo coltivazioni agricole che con l’acqua se la vedevano loro) che sta facendo un “terzo turno”.

Lo stesso presidente della Repubblica (che secondo la Costituzione dura in carica sette anni) è stato prorogato (rivotato prima con Napolitano e poi con Mattarella). Negli Stati Uniti, che la democrazia se la sono data molto prima di noi, il presidente dura in carica solo quattro anni e può essere ricandidato una sola volta.

Riguardo ai sindaci, quando erano eletti in seno ai consigli comunali, non avevano nessuna garanzia di durata. La durata quinquennale fu attivata con la elezione diretta da parte degli elettori, con la possibilità di una sola replica. Presidenti di Regione e sindaci possono restare in carica dieci anni, più che sufficienti per fare qualcosa di più dei malcapitati presidenti USA che sloggiano dopo otto anni.

Allo scadere dei dieci anni la scelta di un nuovo “capo” dovrebbe essere questione di forte interesse, certamente non solo da parte di quel che resta dei partiti, ma anche delle rappresentanze di interessi economici e sociali presenti sul territorio. Non solo per colpa di chi ritiene che sarebbe tanto più comodo prorogare con un terzo mandato la operosità di chi ha messo in cantiere tanta roba che sarebbe beve fosse inaugurata da cotanto autore

In casa nostra, se si dovesse applicare la regola dei due mandati e poi a casa, resterebbero in pochi quelli che potrebbero tornare. Ma un rinnovamento è pur sempre necessario, quando l’anzianità di assessori e consiglieri “affonda” nel millennio scorso o comunque agli albori di questo terzo millennio, che ha già conteggiato comunque  cinque quinquenni.

E’ più che lecito chiedersi da dove usciranno candidati e aspiranti sindaco e assessori. Gli apparati di partito, al di là di comunicati stampa e di adunanze attorno a qualche ospite d’onore, non fanno mostra di avere il frutto di un lavoro continuativo per allevare classe dirigente. Non si sa neanche quanti partiti si possano legittimare per l’attività di formazione e di allevamento di figure idonee a dirigere gli obiettivi di un comune capoluogo di provincia. I comunicati stampa stanno lì a certificare conati di improvvisazione, quando non solamente di critiche al vento. Sarà stata colpa di Mani Pulite che ha sicuramente allontanato dai rischi della responsabilità pubblica tanti rappresentanti (con o senza incarichi, ma solo per ragioni di fatto) ma è stato, ed è, colpa grave delle istituzioni di formazione non aver seminato uno spirito di impegno civile, per il quale serve studio e ricerca.

Non pretendiamo un esame di coscienza di chi “esce”, soprattutto se assetato di conferma. Vorremmo vedere apparire rappresentanze di ambienti sociali depositari di risorse e collegamenti sociali. E’ ora di uscire allo scoperto per dare concretezza alle cose da fare.

Chiediamoci perché tanti ragazzi vanno via a fare l’università e trovano soddisfacenti condizioni di vita al Nord Italia o all’estero, e perché tanti di essi partono con la precisa convinzione di non mettere più piede dove la trasparenza è tanto forte che ai concorsi dove partecipano gente che conta gli altri sanno che è inutile e non partecipa nessuno. Prendendosi la colpa di aver favorito loro, i fuggiaschi, le ineleganti liturgie del vincitore sicuro. Non per raccomandazione, sia chiaro, ma perché gli altri se ne sono scappati:

MARIO PEDICINI