Settembre 1943 In primo piano

Ottant’anni fa, di questi giorni, Benevento era un cumulo di macerie tra le quali si aggiravano diverse forme di “sbandati”: familiari in cerca di una traccia di vite umane, approfittatori per svaligiare case sventrate o disabitate, soldati tedeschi di ronda mentre il grosso preparava la “ritirata” verso Nord.

Il primo bombardamento del 20 agosto 1943 è raccontato nei cinegiornali che si trovano in rete. 36 bombardieri B25 ai affacciano nella valle del Sabato e, alle 13,25, attaccano il nodo ferroviario di Benevento. Alla stazione centrale sono pronti due treni affollati, uno diretto a Foggia l’altro diretto a Caserta. Cadono dal cielo 56 tonnellate di bombe.

Mussolini, sfiduciato il 25 luglio dal Gran Consiglio del Fascismo, era fuori gioco. Il Maresciallo Badoglio, al quale era affidata la guida del governo da 25 giorni, poteva solo contare sulla “benevolenza” dei tedeschi per salvare Re Vittorio Emanuele III. I nostri “nemici” anglo-americani erano sbarcati in Sicilia e, più vicino a noi, nella piana di Eboli. I bombardamenti con le fortezze volanti avevano lo scopo di sgomberare il terreno da soldati e munizioni tedesche, l’Italia era fuori gioco…in attesa della resa che sarà sancita il 3 settembre a Cassibile con la firma dell’armistizio. Alle 21 del 7 settembre arrivò il primo bombardamento notturno, uno spettacolo per chi poteva assistervi dalle colline dei paesi vicini: Benevento era illuminata a giorno. Il cielo si colorava di spezzoni incendiari, si vedevano nitidamente i palazzi sbriciolarsi e crollare mentre esplodevano bombe fragorose.

La radio diede l’annuncio dell’armistizio l’8 settembre con il “comunicato” delle 19,30, un’ora dopo Radio Londra che qualcuno aveva captato anche qui da noi. I Tedeschi cessano di essere alleati e, mentre le ronde si atteggiano a combattenti nemici, i comandi accelerano gli spostamenti verso Nord.

Già subito dopo il 25 luglio, molti zelanti fascisti avevano fatto sparire camicie nere e gagliardetti. Per comprensibili esigenze di pace sociale Raffaele De Caro, all’ufficiale inglese che gli chiedeva la lista dei fascisti, rispose “Qui non ci sono fascisti”. E all’obiezione dell’inglese, senza fargli finire la frase (“Come non ci sono fascisti?....”) chiuse con un perentorio (e coraggioso) “Garantisco io”.

Fino alla definitiva partenza di ogni brandello di esercito tedesco Benevento fu continuamente bombardata- Dal centro storico con la Cattedrale e il Rione Fragola e mezzo Triggio e il Corso Garibaldi da piazza santa Maria al palazzo Santaseverina, il ponte Vanvitelli e il ponte di ferro della ferrovia Avellino-Benevento e tutto il Rione Ferrovia con la stazione centrale e anche la stazione Appia della “Ferrovia di Cartone” fu consacrato alla tattica militare di ripulire accuratamente i territori ormai a tiro delle truppe sbarcate a Salerno. Dopo l’8 settembre, anche i tedeschi non offrirono alcuna protezione alla città “non più alleata”.

Il 2 e 3 ottobre le ultime bombe caddero sul Seminario Regionale al Viale degli Atlantici. Una scheggia tagliò la testa della quindicenne Tonina Ferrelli, sepolta provvisoriamente nel giardino della famiglia Del Donno a Cretarossa.

Settembre 1943 è una pagina di storia che deve restare impressa nella coscienza di ogni beneventano. Anche e soprattutto nella coscienza dei giovani, di quelli che vanno a scuola (ed è la scuola per prima che deve fare il suo dovere di far conoscere la storia), come si è fatto nel 1990 quando, grazie anche al contributo della Regione, fu possibile stampare in anastatica due preziosi volumetti di Salvatore De Lucia e Alfredo Zazo e consegnarli agli studenti per indurli a partecipare a un concorso con gli insegnanti e possibili testimoni oculari. Citerò il documentario realizzato dagli studenti del Liceo “Giannone”, con interviste a testimoni ormai oggi irreperibili. Ma si può reperire quel filmato, farlo vedere nelle scuole, distribuirne copia.

Non è ammissibile che passi inosservato un episodio storico che in ogni famiglia ha testimonianze di sacrifici, di dolore, di mutilazioni e di morti.

Non è ammissibile che passi inosservato da parte di una Amministrazione alle prese ancor oggi con i resti di quella guerra: resti “ignoti” in balia di una incertezza circa una possibile “ricostruzione” del Centro storico.

E’ la storia, la nostra storia, che deve essere tenuta viva. Altrimenti succede quel che già è successo. Che in un volumetto del 2010 (seimila copie, chi sa quanto costato) l’Amministrazione Comunale con tanto di prosa d’occasione (sindaco Fausto Pepe, assessori Giovanni D’Aronzo e Luigi Ionico, Dirigente Statistico Antonio Carrea) si possa leggere che la Via 3 settembre, anziché commemorare la data del 1860 in cui Salvatore Rampone sloggiò dalla Rocca il Rettore Pontificio Odoardo Agnelli, sarebbe la commemorazione dell’armistizio del 3 settembre1943!

MARIO PEDICINI