Sibilla de Afflicto fu la prima medichessa beneventana? In primo piano

In quest’ultimo periodo si fa un gran parlare dell’eventuale nascita della Facoltà di Medicina presso l’Ateneo sannita. Premesso che io sono profondamente d’accordo con tutto ciò che possa divulgare la cultura in ogni dove ed in ogni sua forma ed espressione, devo dire che, forse, sarebbe questa la buona occasione per cominciare a parlare seriamente della storia delle medichesse medievali nel Sud Italia ed anche nella città di Benevento. Questo anche per rinverdire l’immagine di una città che ha legato il suo nome alla leggenda delle streghe e di Iside beneventana, e va bene, ma che ha avuto anche donne che studiavano e scrivevano. E che, in Sibilla de Afflicto, ha avuto anche una donna di scienza.

Infatti, Sibilla de Afflicto, proveniente da un ramo della nobile, potente e illustre famiglia de Afflicto (o d’Afflitto, come è scritto in altri documenti), fu forse (il condizionale è d’obbligo) la prima donna abilitata all’esercizio della professione medica nella nostra città. Cioè dovette superare un esame per praticare tale professione. Fatto sta, che di altre donne medico del Medioevo, in provincia, finora non si hanno informazioni. La notizia è riportata da Raffaele Calvanico, che ha setacciato l’Archivio Angioino, nel suo libro Fonti per la storia della medicina e della chirurgia per il Regno di Napoli nel periodo angioino, edito a Napoli nel 1962 (e facente parte del Fondo Zazo).

Calvanico riporta la notizia dal Registro Angioino n. 318, f. 90, t.:

Sibilie de Afflicto de Benevento habitatrici Fogie exercitate in medendis apostematibus et similia in quibus curandis sufficiens et inventa, provilegium quod mederi possit.

La notizia puo’ essere tradotta come segue: «Sibilla de Afflicto di Benevento, che abita a Foggia esercitante nel medicare i bubboni purulenti e similari, nella cura dei quali è sufficientemente capace, il privilegio che possa medicare».

O anche in questo modo:

«Sibilia de Afflicto da Benevento, abitante di Foggia, fu educata alla guarigione di ascessi e simili, in cui trovò cure sufficienti, si attribuisce il privilegio che possa curare».

In un documento di Mario Gaglione, reperibile su Academia.edu1 è scritto: «La famiglia d’Afflitto è un’antichissima casata originaria del ducato di Amalfi, documentata con maggiore certezza almeno dal secolo XI, e rapidamente diffusasi in tutta l’Italia meridionale principalmente al servizio dei sovrani Svevi ed Angioini. Godette di nobiltà nelle città di Napoli (seggi di Nido, di Porto e di Portanova), Amalfi, Lettere, Castellammare, Benevento, Lucera, Bitonto, Palermo, Ravello, Scala, Tropea, Ariano etc. Accanto ai patrizi di Scala, Amalfi e Napoli, e ai funzionari reali, la famiglia espresse giuristi, ecclesiastici, comandanti militari, letterati, amministratori locali e facoltosi mercanti, finanziatori, in particolare, dei sovrani angioini».

Per approfondire potete dare uno sguardo a quest’altro sito: www.nobili-napoletani.it/afflitto.htm. Su tale famiglia si puo’ anche consultare il Codice diplomatico amalfitano conservato nella biblioteca del Museo del Sannio (Sez. Rari B 63).

La notizia che i de Afflicto o d’Afflitto siano di origine amalfitana è riportata anche nella storica rivista Samnium (num. 1-2 di gennaio-giugno 1964, pag. 122) diretta dal professor Alfredo Zazo. In questa parte, Zazo riporta una sfilza di nomi di medici, chirurghi e “periti dell’arte phisica” della provincia di Benevento nel XIV secolo, ed afferma: «Benevento ha un particolare merito, quello di annoverare tra gli esperti in “arte phisica” una donna: Sibilla de Afflicto”» (e cita come fonti Filangieri e Calvanico). Inoltre, egli specifica che Sibilla ottenne la licenza di curare nello Studio di medicina di Napoli. Una assai laboriosa ricerca effettuata su Internet mi ha consentito di recuperare addirittura il giorno esatto della sua abilitazione: il 28 novembre 1338. L’informazione è tratta da un libro di cui ho subito fatto richiesta alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Si tratta degli “Atti della Società italiana di ostetricia e ginecologia” del 1924, dove, alla pagina 411 è scritto: «Pochi anni dopo, nel 2 settembre 1338 Roberto laureava solennemente Mobilia di Scarpa concedendole il privilegio con la formula de cirurgia pro mulieribus, e nel 28 novembre dello stesso anno concedeva uguale privilegio a Sibilla d’Afflitto».

Si tratta di uno studio di Giovanni Miranda e Maurizio Mastrolilli. In esso è specificato che è Roberto d’Angiò a concedere il privilegio in medicina e in chirurgia alle donne negli anni Venti del 1300. Egli fa tradurre antichi testi greci di medicina, soprattutto il de Gyneceis di Galeno.

L’insegnamento delle malattie muliebri nasce dunque a Napoli, con conferimento del diploma alle donne, il che costituisce una gloria di Roberto il Saggio.

La ginecologia sarà praticata esclusivamente da donne fino al 1734, quanto, essendo re Carlo di Borbone, il medico Pietro Moliterni ebbe l’insegnamento straordinario della cattedra de morbis mulierum et puerorum2.

Non è un’impresa semplice ricostruire la storia di questa medichessa, storia che risale al XIV secolo, né trovare documenti che offrano una descrizione della sua attività professionale. Per la mia ricerca mi sono avvalsa di un articolo del professor Elio Galasso, uscito su Realtà Sannita nel 2019 e disponibile online3. È stato questo il punto di partenza di un’impresa ancora tutta da tentare e per questo ringrazio il professor Galasso, già direttore del Museo del Sannio, una delle poche personalità della nostra città realmente in grado di parlare di arte e di storia, e non un semplice burocrate come tanti che sono preposti a salvaguardia di istituti culturali, i quali richiedono invece capacità, sensibilità e visioni più ampie di quelle meramente amministrative.

Devo poi un sincero ringraziamento allo staff della Mediateca Provinciale di Benevento, che mi ha supportato nell’indagine e che mi ha fornito tutti i materiali che ho richiesto a più riprese. Senza questo indispensabile aiuto, non avrei potuto scrivere questo articolo, per il semplice fatto che in altri Archivi, laici e religiosi che ho interpellato, non sono disponibili materiali (questa la loro risposta).

Invece, dall’Archivio di Stato di Napoli, mi hanno comunicato che le carte relative alla Cancelleria Angioina sono andate distrutte nel 1943 a seguito degli eventi bellici. Un’altra studiosa di storia del cristianesimo, la professoressa Isabella Gagliardi dell’Università di Firenze (che sta facendo uno splendido lavoro proprio sulle donne medico nel Medioevo), mi ha successivamente informata che tutto quello che di tale Archivio Angioino resta, grazie a successive ricostruzioni, è stato messo in rete4.

È una storia avvincente quella delle donne medico nel Regno di Napoli. Tra il XIII ed il XIV secolo l’Archivio Angioino restituisce i nomi di ben 24 chirurghe. Come scrive Sabrina Veneziani, dell’Università di Bari, nel saggio dal titolo Le donne nel panorama sanitario del tardo Medioevo in Italia5: «Tredici di esse possedevano una precisa licenza per praticare la chirurgia sulle donne ed occuparsi di precise questioni attinenti la ginecologia e le malattie delle mammelle. Sei sono catalogate nei documenti quali ydiotae, con esplicito riferimento all’incapacità a leggere il latino, se non addirittura il vernacolo. Nessuna è esplicitamente definita come litterata. (Calvanico, 1962)»6.

La Veneziani scrive anche:

Con il diffondersi delle scuole mediche, dal 1300 in poi, l’esercizio della medicina, almeno nella sua forma ufficiale, venne fatto dipendere, se non dal crisma di uno Studio Generale, almeno dal possesso di una licenza. Le signore non si permisero di frequentare regolari corsi di studi universitari e raramente misero in discussione la propria esperienza davanti ad una Commissione, formata da soli uomini, per ottenere l’agognata autorizzazione. Praticarono piuttosto la medicina e la chirurgia come ‘empiriche’ (termine ampiamente utilizzato dai doctores artium et medicinae per riferirsi ai professionisti della salute senza titoli accademici) detentrici però di un sapere ereditato da tradizione familiare o coniugale; in nulla differenti dai loro colleghi maschi. […]

Non si trattava assolutamente di volgari ciarlatane o fattucchiere praticone, nemmeno di semplici levatrici o mammane che assistevano le donne al momento del parto e si occupavano dei disordini del sistema riproduttore, non essendo permesso ai maschi l’approccio alle pudenda femminili. Già Sorano di Efeso esplicita: “quid est obstetrix? Femina omnium muliebrium causarum docta, etiam medicinali exercitatione perita”, sottolineando l’ampia casistica terapeutica di cui l’ostetrica doveva occuparsi. (Valentin, 1882: 6) Le donne-medico nel Tardo Medioevo erano specialiste.

A Benevento, come altrove, i depositari dell’arte medica erano arabi ed ebrei. Elio Galasso, nell’articolo prima evocato, ci informa che: «Alla metà del secolo IX operava fra gli altri qui in città il medico arabo Aharon hen ha-Nassi, proveniente dalla Scuola Medica di Babilonia a sud di Baghdad oggi in Irak, autore di indagini di anatomia, interventi chirurgici, lezioni, saggi». Inoltre ci ricorda che nella Benevento medievale gli speziali (cioè i farmacisti) erano tutti ebrei.

E a proposito dell’arte medica ebraica, la Veneziani ci ricorda che una medichessa, Donna Cusina di Filippo de Pastino, anch’ella probabilmente ebrea, nel 1404 ottenne la licenza per la pratica della professione chirurgica a Cosenza. Tale licenza le fu conferita dal maestro Benedetto di Roma, giudeo, su ordine di re Ladislao di Durazzo. Ad esaminare le cognizioni mediche e terapeutiche delle future medichesse erano sempre gli uomini…

«È verosimile - scrive la Veneziani - che medici e medichesse di religione ebraica, oltre ad essere esaminati, curassero solo i propri correligionari, salvo permessi speciali delle autorità ecclesiastiche che potevano estenderne il raggio d’azione alla popolazione cristiana».

Molti lavori condotti negli anni hanno consentito di scoprire che durante il Medioevo la presenza delle medichesse fu consistente in tutta la penisola e che, soprattutto durante la peste del 1300, le loro competenze erano particolarmente richieste.

Questo è tutto quello che ho potuto scoprire su Sibilla de Afflicto. È solo un punto di partenza, ma mi auguro che serva a qualcosa. Come suggerisce il professor Galasso, a questa donna si potrebbe intitolare una strada. Sono d’accordo: nella toponomastica cittadina i nomi delle donne sono ancora molto pochi e lo dico dopo avere tracciato i profili di oltre cinquanta di esse nel mio libro Storia delle donne nel Sannio (Edizioni Realtà Sannita), che ha visto la luce dopo molti anni di indagini. Pare che nella nostra città, se non si è madonne o streghe, ma solo donne, nella toponomastica non si abbia diritto di cittadinanza. Invece di intitolare strade a personaggi che con la nostra storia non hanno alcuna relazione, come sta accadendo nell’ultimo periodo, si dovrebbe seriamente pensare in termini di pari opportunità anche in questo ambito. Spero, perciò, che l’associazionismo femminile locale e la Consulta delle Donne si mobilitino in tal senso.

Ma io avrei un’altra idea: intitolare a Sibilla de Afflicto un’aula di quello che spero sarà presto la Facoltà di Medicina e Chirurgia nella nostra città. E anche, perché no, un Premio Sibilla de Afflicto alle giovani donne della provincia che si distinguano nell’ambito scientifico.

LUCIA GANGALE

Nell’immagine lo stemma nobiliare della famiglia de Afflicto

Note

1) www.academia.edu/48845347/Brevi_note_sulla_famiglia_D_Afflitto.

2) Miranda Giovanni e Mastrolilli Maurizio, L’esercizio della cura delle malattie delle donne concesso alle medichesse od alle chirurghe in Napoli all’epoca angioina, in “Atti della Società italiana di ostetricia e ginecologia”, 1924, pag. 413. Gli autori rimandano anche ad un altro loro studio:

3) www.realtasannita.it/articoli/cultura/sibilla-de-afflicto-a-benevento-tra-medici-arabi-ed-ebrei.html.

4) http://san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-complesso-documentario?step=dettaglio&codiSanCompl=san.cat.complArch.17634&idSogc=17634&id=17634

5) Scaricabile da qui: https://revistascientificas.us.es/index.php/CulturasyLiteraturas/article/download/17506/15946/69263.

6) Come è spiegato in nota: «Nel lavoro di Calvanico possono essere identificati i seguenti nomi, accompagnati dai numeri di registrazione: Adelicia da Capua (3006); Bona di Guglielmo di Odorisio da Miglionico (3119); Clarice di Durisio da Foggia (3127); Costanza da Barletta (1168, 1209); Francesca, moglie di Matteo da Romano di Salerno, passata alla storia come S. Francesca Romana (1321-22, 1451, 1872, 1874); Francesca, moglie di Vestis (916); Gemma da Molfetta (1981); Isabella da Ocre (3195); Lauretta, moglie di Giovanni da Ponte da Saracena (1413, 2023, 20269; Letizia di Manso da Friano (3072); Mabilia di Scarpa da S. Maria (3327, 3371, 3406); Margherita di Napoli, da S. Maria (3534); Margherita de Ruga (3572, 3620) ; Margherita da Venosa (3226); Maria Gallicia (1165, 1234); Maria Incarnata (3571); Polisena de Troya (3598, 3610); Raymunda de Taberna (3643); Sabella di Ocro (o di Erro) (3071); Sibilla de Afflicto di Benevento (3407); Sibilia da S. Giovanni Rotondo (3227); Trotta di Troya (966); Venturella Consinata (o Cisinato) (1875); Vigorita da Rossano (3512). Sono noti, inoltre Cusina di Pastino (registro angioino n. 318 anni 1338-39 D, carta 90 retro) e Mobilia Scarpa (anno 1338). In Regesta Neapolitana si legge di una certa Anna, medica de Balusano (RN, doc.23, 923)».