Tulps chi era costui? In primo piano

Dura da qualche anno una sfida tra un Longobardo e l’attuale sindaco di Benevento, che nella disfida ha un punto debole nel particolare che non è nativo. Mastella, infatti, se solo ci fosse stata un po’ di acqua nel fiume Sabato sarebbe potuto approdare sotto il Ponte Leproso a bordo di una zattera comandata da tale Carola Latedesca. La crisi idrica (e, diciamola, anche quella politica) lo ha portato in carrozza a Palazzo Mosti, sede provvisoria del Comune in attesa di poter, con consona cerimonia inaugurativa, traslocare a Palazzo Paolo V all’uopo destinato dal Papa che ne porta i connotati.

Il Longobardo, regolarmente munito di barba rossa, ama la bicicletta (mentre scriviamo è impegnato a pedalare sulle piste ciclabili di mezza Europa) e ritiene di poterci andare in sella anche lungo il Corso Garibaldi. E’ stato regolarmente multato, mentre non sappiamo nulla di quei forsennati che si infilano tra i pedoni a bordo di bici a ruote grosse fornite di batteria che non dovrebbero superare i 30 all’ora, ma anche a 29 sono obiettivamente più pericolose della bici a pedali semplici del Longobardo.

Il quale, peraltro, resosi conto che con quella barba (e quella testa) può impersonare Arechi o Liutprando se non proprio Alboino o Grimoaldo, per una settimana scarsa all’anno depone la bicicletta attenzionata (del che è verbale) dai vigili urbani e si mette a capo di redivivi armigeri del Settimo secolo per rinverdire i fasti della Benevento che fu. Per evitare sgraditi incontri con la Guardia Municipale si è ormai acquartierato nei pressi dei Santi Quaranta. E pure lì lo hanno beccato per aver contravvenuto al TULPS, non avendo (ahi ahi) notificato un assembramento che è parsa una “riunione”, per la quale il TULPS prevede l’obbligo di un preavviso pari a tre giorni. Quindi, se tre o sette longobardi si siedono su una panchina si materializza una riunione in luogo pubblico. Se non volete che si scriva un verbale, la circostanza va prevista e decisa e comunicata almeno tre giorni prima del giorno deciso (o concordato). La lettera del Corpo della Polizia Municipale, come si dice senza offesa, è perentoria. Dietro il foglio si intravede la faccia soddisfatta dell’autore gongolante, quasi a pensare: sul fatto della bicicletta, noi non arretriamo, ma il giudice potrebbe pure darci torto; ma qua, amico bello, col TULPS in mano, l’hai fatta grossa.

Eh sì, perché siamo di fronte al Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, una cosa più antica della Costituzione e sicuramente molto più chiara, promulgata con il Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773. Una legge alla quale ricorse la Ministra della Pubblica Istruzione Stefania Giannini (governo Renzi), nel maggio 2014, per affermare che solo il Prefetto può aggiustare i giorni lavorativi dei dipendenti degli uffici scolastici, talché nessun post-provveditore può “dare di ponte” un giorno infrecchiato tra due feste: in quell’anno era un lunedì dopo una domenica (e questo si sa) e il 1° maggio (e questo non capita spesso). Se vogliamo dare addosso al vicecomandante dei Vigili che avrà pochi strumenti per indovinare quale legge applicare, la Ministra era una glottologa, rettore dell’Università per Stranieri di Perugia, poi vicedirettrice dell’UNESCO.

Ora voi vorreste sapere da me che c’è di strano che sia in vigore una legge del 1931. Mi insospettisce la data. Siamo subissati da accorate perorazioni affinché scompaia ogni traccia di fascismo: e si auspica che si faccia piazza pulita di ogni esaltazione toponomastica, a partire da Garibaldi e Cavour (sì, non erano fascisti, ma è colpa loro di tutto quello che è successo poi, anche la Democrazia Cristiana diciamocela tutta). E teniamo ancora sulle scrivanie di prefetti e questori (anche ministri, come nel caso della Giannini) quei 224 articoli che stringono in una morsa indefettibile i diritti dei cittadini.

Tale e tanta è la pervasività di un antifascismo consapevole e quasi militante che ognuno intuisce come in quell’anno c’era proprio il fascismo al potere. Anzi è Mussolini in persona, che il 5 novembre 1926 aveva assunto anche l’incarico di Ministro dell’Interno (come Salvini adesso), il quale ritrova a capo della Polizia un signore che conosce benissimo e stima tantissimo, nominato da poco, il 13 settembre 1926. Ogni antifascista ha scoperto nome e cognome di chi parliamo. Si tratta, infatti, del sangiorgese Arturo Bocchini, che terminerà la sua carriera con la caduta di Mussolini.

Non è l’unica istituzione fascista a essere stata ribattezzata con l’acqua lustrale della democrazia repubblicana. Oltre ai quattro codici, più quello della navigazione, ci sarebbero la legge urbanistica e quella sul diritto di autore. Ma è veramente inconcepibile che nei 70 anni di vita della Costituzione Repubblicana nessuno abbia trovato il tempo di scrivere daccapo una disciplina dei limiti dei poteri di polizia rispetto alle manifestazioni (pubbliche o private che siano) di diritti fondamentali di libertà. Capisco che nei primi tempi molti antifascisti si trovavano ad essere anche ex-fascisti; ma oggi bisogna cercare col lanternino qualche reduce vivente. Si può scrivere insomma un Testo Unico delle Leggi sulle Libertà Civili (attenti: non dei soli cittadini). Un TULLC.

A meno che non si voglia certificare che Arturo Bocchini e Benito Mussolini avessero tanta stima del loro fascismo da farne una medicina buona anche per la tranquillità dei futuri “sinceri democratici”. Allora il Longobardo con la barba rossa potrebbe appigliarsi all’Editto di Rotari, laddove nel nome del sovrano si ravvisasse la radice (rota per ruota) del nome di quel maledetto aggeggio inventato da un barone tedesco nel 1817. Forse per i vigili beneventani è più avvezzo il termine veloci-pede, nel senso che il Longobardo è bene che se la dia a gambe levate.

MARIO PEDICINI