Un altro primato della Campania: disoccupazione giovanile e abbandono scolastico In primo piano
Ripetute notizie più che allarmanti sui giornali della settimana scorsa ci informano che noi campani siamo diventati la maglia nera del Paese con il cosiddetto NEET, ossia giovani inattivi che disertano anche la scuola. Eppure la Campania è tra le prime regioni d’Italia per ampiezza territoriale, per numero di abitanti, per attività turistiche, bellezza di paesaggio, ed anche per storia.; però occupiamo uno degli ultimi posti per ordine pubblico, sistema sanitario, frequenza scolastica, pubblici servizi in genere. Quello che oggi più preoccupa è che la nostra Regione detiene la maggiore percentuale di giovani che non lavorano e non studiano.
Dobbiamo pensare che questo dipenda dall’ampia estensione di aree cosiddette depresse, ossia territorio collinare e montano, che rappresenta l’80% dell’intera regione, o dall’eccessivo addensamento di abitanti nell’area metropolitana, in cui vivono 2.500 persone per chilometro quadrato, il più alto d’Italia, mentre nelle aree appenniniche vivono soltanto 150 persone per Kmq.
Disoccupazione, abbandono scolastico, delinquenza giovanile coincidono con desertificazione o con addensamento di popolazione?
Forse qualcuno riuscirà a calcolare il costo che paga tutta la Campania, e non solo le zone interne, a causa dell’addensamento nell’area metropolitana, ossia provincia di Napoli, di servizi civili (ospedali e università soprattutto) infrastrutture di comunicazione, insediamenti produttivi e abitativi vari.
50 anni fa non vi era tale concentrazione di infrastrutture e di strutture ma neanche tale affollamento di popolazione.
Cinquant’anni fa, all’inizio dell’esperimento regionalista si tentò di proporre un piano di assetto territoriale per evitare l’accentramento in una o poche aree: si parlava di ribaltamento. All’epoca, a cominciare dall’Alfasud, al secondo policlinico, alle nuove università ed altri impianti, fu tutto un insediamento concentrato, altro che ribaltamento e decentramento.
Al monte la desertificazione, al piano l’ammucchiamento. Siamo tutti, più o meno, responsabili di quel mancato riequilibrio territoriale. Ed oggi ne paghiamo, con altissimi costi, le conseguenze. Ed allora che possiamo fare? Almeno parlarne con coraggio oltre che con speranza!
Quello che dovremmo evitare è di adattarci ai tempi correnti: ad ammettere che per le aree interne l’unica cosa fattibile sia di chiedere i sussidi di assistenza in quanto territori depressi che non dispongono di proprie potenzialità di sviluppo.
Una certa filosofia della Questione Meridionale purtroppo ci condanna a subire ancora la politica di concentrazione di investimenti lungo la fascia costiera e di sussidi assistenziali alle cosiddette aree interne.L’alta disoccupazione giovanile e l’abbandono scolastico, che sebbene colpiscono soprattutto l’area metropolitana, debbono farci capire che si può fare ancora in tempo, se non proprio per ribaltare, almeno per riequilibrare il territorio.
Bloccare le ulteriori concentrazioni, avviare organiche e innovative politiche di sviluppo miranti a rianimare e valorizzare, non semplicemente assistere, la dorsale appenninica. Prendere coscienza, a differenza di cinquant’anni fa, che oggi questi territori interni posseggono una potenzialità incontestabile, di cui le altree aree hanno assoluto bisogno, sebbene pensino di appropiarsene senza negoziarla: vedasi il modo di estrarre e sottrarre le energie rinnovabili.
L’allarme diffuso dalla stampa nazionale nei giorni scorsi sul disagio giovanile deve convincerci che non esistono due Campanie, una attiva ed una passiva, ma ambedue potenzialmente attive.
A conclusione di queste riflessioni dovremmo ripetere a noi stessi l’invito ad evitare gli errori di 50 anni fa, quando avemmo paura del ribaltamento. Oggi non dobbiamo avere paura del riequilibrio tra le due Campanie, se vogliamo evitare tra l’altro la vergogna del primato della disoccupazione giovanile e dell’abbandono scolastico che indubbiamente sono anche il frutto dell’eccessiva concentrazione di insediamenti nell’area metropolitana.
ROBERTO COSTANZO