Un patto per il made in Campania In primo piano
La quasi totalità del sistema agroalimentare campano, dalla coltivazione alla trasformazione al confezionamento, è rappresentato da micro e piccole imprese. Il più delle volte sono aziende a conduzione familiare, che da generazioni si tramandano saperi e tradizioni, amore per il prodotto e cura del cliente. A rappresentarle sono imprenditori che con dedizione ed impegno affrontano e provano a dare risposte a problematiche di ogni tipo, in particolare in questo difficile momento storico caratterizzato dai maggiori costi per le materie prime, il packaging, i trasporti, l’energia… oltre ad un’inflazione che supera il 10%. Una richiesta concreta, che all’unisono le diverse Organizzazioni del mondo agricolo campano avanzano al nuovo Governo, è quella di approvare provvedimenti per rendere la “burocrazia” semplice, trasparente e dinamica, che non ostacola ma è anzi al fianco della micro, piccola e media impresa in particolare nelle opportunità di accesso a strumenti di sostegno, che possono favorire la completa modernizzazione delle filiere produttive e passare ad una logica di distretto agroalimentare che punta all’eccellenza produttiva, ad una forza lavoro formata e al passo con i tempi e, soprattutto, alla valorizzazione dei territori con percorsi di turismo lento legato alle “tipicità” dei luoghi. Alcuni segnali sono già arrivati, come ad esempio le linee guida presentate dal ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, in particolare in un passaggio dove si afferma: “Le buone pratiche devono consentirci d’implementare l’utilizzo delle tecnologie digitali, come la blockchain, per garantire la tracciabilità e sicurezza lungo tutto il ciclo produttivo e permettere un impiego più corretto dell’eccedenze, come antidoto anche alla produzione di cibo sintetico”.
Un ruolo strategico nella valorizzazione dei prodotti made in Campania, in Italia e sul mercato estero, lo gioca il mondo della cooperazione: le imprese cooperative lavorano materia prima che per il 74% è di provenienza locale, per il 24% nazionale e solo per il 2% estera. Ciò a dimostrazione del forte legame esistente tra il sistema cooperativo e la propria base sociale. Per conoscere più da vicino questo importante comparto, in particolare del settore vitivinicolo, abbiamo intervistato Domizio Pigna, presidente de La Guardiense, la più importante cooperativa vitivinicola del Mezzogiorno d’Italia.
Presidente Pigna, uno dei temi centrali della vostra azione associativa è di garantire il reddito dei viticoltori. È paradossale, ma l’aumento delle produzioni, l’elevata qualità del prodotto, la crescente reputazione dei vitigni campani, non determina il dovuto riconoscimento dal punto di vista del reddito di chi coltiva la vite e produce vino. Quali le cause ed in che modo il Governo può intervenire, da subito e nel medio-lungo tempo?
Per una serie di problemi, nel settore del vino oggi l’offerta ‘supera’ la domanda. È, a mio parere, il punto da cui partire per sostenere i produttori, con un intervento immediato sulla “distillazione delle eccedenze”: come tutti sanno, si produce più di quello che imbottigliamo. Subito dopo dobbiamo riflettere sulla quota comunitaria dell’1% per i “nuovi vigneti”, una delle cause dell’aumento dell’offerta dei vini se consideriamo che, negli ultimi 10 anni, sono stati impiantati circa 70.000 ettari. Terzo punto di riflessione: le vendite dei vini, che nell’ultimo triennio non sono cresciute. Sono stati tre anni molto difficili, con non poche difficoltà siamo riusciti a mantenere il nostro status. Nel 2019, soprattutto l’export era in forte crescita e i nostri vini regionali cominciavano ad ottenere il giusto riconoscimento economico. Per incrementare le vendite, una misura potrebbe essere quella di sostenere attività come ristoranti ed enoteche che puntano su vini regionali di qualità. Ultimo punto, ma il più importante, è la “burocrazia”: bisogna semplificare i processi, in particolare per l’accesso agli strumenti di sostegno che, per moltissimi imprenditori, restano purtroppo irraggiungibili!
I vini campani, ed in particolare quelli sanniti, si stanno pian piano affermando sul mercato non solo nazionale, grazie alla costante evoluzione di Cantine sociali modello, come La Guardiense, che credono ed investono in questo primario settore del made in Italy. Come garantire l’identità dei nostri vini, al fine di distinguerli sul mercato vitivinicolo ormai globale?
Facendoli conoscere, raccontandoli, facendoli… sorseggiare. Proprio in questi giorni siamo negli Stati Uniti per promuovere i nostri vini, altri colleghi sono in Giappone. Facciamo molto, da questo punto di vista, ma non basta: dobbiamo potenziare e sostenere le organizzazioni impegnate nella promozione dei territori e dei prodotti, come i Consorzi di tutela, i Distretti agroalimentari di qualità, le Strade del vino; mettere queste strutture nelle condizioni di esprimere al meglio la loro mission di coordinamento e di traino. Da parte nostra, dobbiamo essere pronti a condividere, coi diversi Attori istituzionali, un progetto di sviluppo territoriale che impieghi al meglio l’insieme delle professionalità presenti nelle diverse filiere, nelle associazioni di categoria, nelle cooperative: un primo passo, in questo senso, si sta facendo a livello regionale, dove stiamo ragionando su una Strada del vino unica, convinti che il settore vitivinicolo, il turismo del vino, può dare un grande aiuto allo sviluppo sostenibile dei nostri territori.
L’agricoltura campana ha un’altra eccellenza che negli anni si è affermata sul mercato: la zootecnia da carne. Parliamo, tra l’altro, di bovini di razza Marchigiana che insieme alla Chianina e alla Romagnola è tutelata dal consorzio “IGP Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”: un marchio d’assoluta garanzia per qualità e tracciabilità del prodotto. Ne abbiamo parlato con Davide Minicozzi, presidente Allevatori Campania-Molise e Nicola De Leonardis, presidente FedAgriPesca-Confcooperative Campania.
L’apertura del Governo ai “corpi intermedi” è fondamentale per intervenire nei diversi settori produttivi. Quale la risposta della sua organizzazione e, soprattutto, su quali primarie esigenze è auspicabile trovare soluzioni condivise?
Nicola De Leonardis, presidente FedAgriPesca-Confcooperative Campania
La rinnovata attenzione nei confronti dei corpi intermedi è un dato sicuramente positivo e denota sensibilità ed esigenza di pragmatismo nella definizione di politiche che rispondano effettivamente ai bisogni del mondo imprenditoriale. L’interlocuzione con le Organizzazioni è quanto mai opportuna in un momento come quello attuale, in cui si stanno portando avanti percorsi di transizione verso modelli di sviluppo nuovi, che guardano alla sostenibilità nella sua triplice dimensione: economica, ambientale e sociale. A livello europeo è stata rimarcata la contrarietà al “Nutriscore”; è stato avviato un confronto sui temi dell’impiego dei prodotti fitosanitari, degli antibiotici, dei fertilizzanti, degli imballaggi, cercando di porre un freno e una direzione più realistica rispetto ad approcci un po’ troppo ideologizzati. Insieme, dobbiamo ora disegnare l’agricoltura del futuro. Da questo punto di vista, estendere le OCM settoriali a comparti ad oggi esclusi è sicuramente una priorità, perché ne potrebbero beneficiare anche settori strategici come quello zootecnico e lattiero-caseario. Su quest’ultimo è particolarmente sentita l’esigenza di uno strumento che consenta d’incentivare l’aggregazione di allevatori e produttori, rafforzandone il potere contrattuale nei confronti dell’industria e della distribuzione, col fine di migliorare la competitività, la sostenibilità e la qualità di questo importante comparto alimentare.
Davide Minicozzi, presidente Allevatori Campania-Molise
È fondamentale l’apertura del Governo. Siamo in piena emergenza e la necessità di dare risposte risolutive, immediate ed efficaci, è di vitale importanza. Per quanto riguarda il settore zootecnico penso che bisogna innanzi tutto restituire all’Italia una strategia mirata a difendere le produzioni agricole nazionali. Sono presidente degli allevatori di Campania e Molise da quasi due anni e, nel corso di quest'arco temporale, ho indirizzato la nostra Associazione verso la “certificazione” e la “promozione delle produzioni di alta qualità” in ambito zootecnico, in modo che si dia un valore aggiunto, non solo al prodotto interamente italiano, quello cioè che realizziamo noi nelle nostre aziende, ma a tutti gli stakeholder di questo importante comparto. Tutte le statistiche hanno stimato che su ogni euro speso dal consumatore, per acquistare carne, latte o uova provenienti da aziende agricole italiane, solo una percentuale minima dal 13 al 17% finisce nelle tasche degli allevatori: sono percentuali ahimè troppo basse per fronteggiare i continui rincari! Bisognerebbe, quindi, focalizzarsi su interventi mirati per affrontare l’aumento spropositato dei costi delle materie prime, dando ossigeno alle aziende agricole. Inoltre, frequentemente il consumatore s’imbatte in “finti” prodotti italiani, che danneggiano l’economia circolare della nostra Nazione. Il nostro agroalimentare ormai da troppo tempo vive una grave crisi, con conseguenze disastrose sia per i produttori che per i consumatori; il mio auspicio, è che a breve ci possa essere un rilancio dell’intero comparto agricolo, accompagnato necessariamente da una fase di ‘sburocratizzazione’ con provvedimenti davvero concreti.
Considerate le potenzialità di crescita di questo “eccellente” comparto della zootecnia campana, quali i problemi da affrontare e risolvere per farlo diventare “volano” di sviluppo economico delle aree montane?
Nicola De Leonardis, presidente FedAgriPesca-Confcooperative Campania
Gli allevatori di bovini, suini e ovini stanno vivendo un momento di difficoltà estrema. Si tratta di aziende già esposte a livello bancario, che vengono dalle difficoltà che ha seminato la pandemia da Covid-19. In questa generale sofferenza, ci sono gli allevatori delle aree interne che svolgono un ruolo chiave nelle zone svantaggiate e montane. Essi, con le coltivazioni dei terreni e il mantenimento dei pascoli, non concorrono solo alla capacità economica e produttiva di un territorio, ma anche alla sua tenuta ambientale, sociale ed occupazionale, elevandosi a sentinelle e custodi territoriali. La diminuzione dei capi bestiame nelle aree interne, lascia dietro di sé rischi circa l’abbandono del territorio, con tutte le conseguenze del caso, tra cui lo scoraggiamento tra i più giovani che evitano a monte di dedicarsi al pascolo e alla produzione di carne a condizioni per nulla vantaggiose. Non monitorare il progredire di questo fenomeno, significa dimenticare che allevare in un’area interna è diverso che allevare in un’area di pianura o vicino alle coste. Il Governo dovrebbe mettere in campo politiche “diverse”, per la zootecnica delle aree interne da quella di pianura o limitrofa alle coste, considerando che gli allevatori delle aree interne praticano il vero allevamento estensivo e non intensivo. Dietro il termine “azienda agricola”, in zone svantaggiate e montane c’è di fatto un nucleo familiare, che svolge una preziosa attività in termini occupazionali, sociali ed economici.
Davide Minicozzi, presidente Allevatori Campania-Molise
La zootecnia campana ha diversi primati. Tra questi, la carne che si ottiene dai capi di razza “Marchigiana”: tenera, di ottimo sapore, dall’elevato contenuto proteico e dai bassi livelli di colesterolo. Nonostante le rilevanti caratteristiche organolettiche del vitellone bianco dell’Appennino centrale, agli allevatori non ancora è stato riconosciuto un prezzo adeguato alle caratteristiche del prodotto e per niente dignitoso per chi, 365 giorni all'anno, accudisce questi possenti animali. La vera piaga, a mio parere, sono quegli attori che purtroppo, giocando a ribasso, decidono le sorti di un intero comparto! In merito sono personalmente impegnato in un progetto che prevede una “filiera corta” mirata all’aggregazione dei produttori e al raggiungimento di un unico obiettivo comune, perché oggi solo l’unione fa la forza. Quando parlo di filiera corta, immagino un rapporto diretto tra produttore e consumatore, senza la speculazione da parte di intermediari. Tanta strada c’è da percorrere, ma sono sicuro che raggiungeremo la meta: la valorizzazione del comparto zootecnico da tutti i punti di vista, dando il giusto valore alle nostre aziende e alle nostre produzioni. Ciò che invece anche insieme a voi della stampa dobbiamo fare, è far acquisire ai consumatori la consapevolezza che il made in Italy, quello vero, è sinonimo di qualità e sicurezza.
GIUSEPPE CHIUSOLO