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A che servono le tasse? A finanziare stato ed enti pubblici affinché possano svolgere i loro compiti.

Di fronte alle tasse (uso il termine tasse in maniera generica per intendere tutti i balzelli obbligatori) il cittadino deve solo obbedire. Non a caso la costituzione esclude dalla possibilità di sottoposizione a referendum abrogativi “le leggi tributarie e di bilancio”.

Di fronte a questa oggettiva contrazione della normale capacità giuridica del cittadino (che non può far uso della abituale capacità negoziale) dovrebbe stare la massima attenzione a che l'imposizione fiscale sia equa, ragionevole, assolvibile.

Ditemi voi se risponde a questi tre elementari requisiti quanto sta avvenendo attorno all'IMU. Già la sola incertezza (se si deve pagare, il termine di scadenza ormai imminente, e poi quanto mi costerà adempiere a settembre) non mi pare rispetti le esigenze del cittadino. E per cittadino qui si intende anche l'imprenditore, che notoriamente lavora su una programmazione di medio-lungo tempo. Ma anche il cittadino più modesto (non ancora povero), che può certamente adempiere, deve essere messo nella condizione di sapere quanto del suo reddito (e quando) debba essere sottratto al bilancio familiare.

Chi è che fa uso dei soldi versati dai contribuenti? In Italia vige un sistema misto. Da una parte hanno la capacità impositiva gli organismi pubblici che devono assicurare i servizi per i quali sono stati creati e vengono mantenuti in vita. Dall'altra parte provvede il governo nazionale che incamera la massima parte delle entrate fiscali, non solo quelle che servono al funzionamento degli apparati statali ma anche quelli che servono in maniera preponderante al funzionamento di regioni, province, comuni e altri sconosciuti pollastri che hanno bisogno di abbondante becchime.

Questo sistema, che ha le sue buone ragioni (lo stato è meglio organizzato, è più autorevole, riscuote maggiore credito, vede dall'alto e cioè vigila), tiene lontano il cittadino dall'esercizio di una vera possibilità di controllo. Paghiamo con una fiducia cieca, ben sapendo che mai riusciremo a sapere (anche se lo volessimo) quale sia la destinazione primaria dei nostri soldi.

Già questo ha sostanzialmente abolito qualsiasi interesse individuale a saperne di più. Quando protestiamo lo facciamo perché indotti a valutare l'eccessivo carico delle tasse rispetto al reddito. Ma anche se fossero poche le tasse da pagare a uno stato che non facesse un tubo sarebbe una ingiustizia e dovrebbe far scattare l'interesse dei cittadini a ribellarsi.

Si dà il caso, peraltro, che il carico fiscale in Italia sia tra i più alti del mondo. Lo stato deve, infatti, distribuire i soldi incassati per far funzionare anche gli enti locali, che hanno una ridotta capacità impositiva propria.

Se il comune agisse solo sui propri cittadini per approvvigionarsi dei soldi che gli servono, staremo certamente tutti più attenti. Ma i soldi vengono da Roma, magari per le abilità manovriere (esaltate casomai dalla organi d'informazione) del parlamentare locale. Sembra quasi che giungano sotto forma di regali. E, come si dice, a caval donato non si guarda in bocca. Allora, ringraziamo.

Andiamo, però, a vedere come il comune spende questi soldi venuti da Roma.

Il comune deve assicurare le funzioni per cui esiste. Spese di funzionamento per mantenere quello che ha e spese di investimento, per fare nuove strade, muovi acquedotti, nuove scuole eccetera. Non può buttare dalla finestra i soldi che gli passa lo stato anche se scoprisse che lo stato di soldi gliene dà più di quanti gliene servono. In un caso così estremo (proprio irreale, direi) il comune dovrebbe provvedere a restituirli.

Che succede, allora, se il comune è socio di una società per azioni che deve gestire in regime di economia (secondo il codice civile) una attività non istituzionale? Se, cioè, il comune di Benevento è unico socio dell'Azienda Municipale Trasporti Sannio (AMTS) e, però, ogni anno prende dai soldi che gli passa lo stato quanto serve per colmare il disavanzo della gestione degli autobus, stiamo nella norma o no?

Ma, soprattutto, io che ho pagato le tasse allo stato sono soddisfatto se una parte dei miei soldi deve servire a tenere in piedi una cosa che, per i motivi più svariati, non soddisfa ciò per cui esiste?

Che almeno qualcuno renda pubblica la circostanza che, per far circolare i nostri autobus, ogni cittadino (dal neonato all'ultimo morituro) regala (pur non prendendo mai l'autobus) suppergiù una ottantina di euro all'anno.

Gli amministratori dell'AMTS e quelli del Comune di Benevento devono sapere che non è più consentito che i primi mettano in preventivo un incasso di 100 e un generoso ripianamento da parte dei secondi di 900. L'equilibrio di bilancio dell'AMTS deve essere pianificato aumentando le entrate. Concordando con i secondi che la domenica si va a cimitero solo con l'autobus urbano, come il 2 novembre. E poi rifacendo daccapo gli itinerari delle linee, aggiornando la lista dei capolinea (quanta gente si serve del treno e, scendendo alla stazione centrale, prende più l'autobus?). E poi varando una strategia per cui un autobus parta da un parcheggio o, magari, dal terminal degli autobus interurbani o, perché no?, da un centro commerciale.

Se non si fanno sforzi convincenti e non si ottengono risultati contabili probanti non c'è alcun motivo di tenere in piedi una pseudo azienda, giuridicamente creata autonoma proprio per non pesare sulle debolezze, diciamo così politiche, del comune quando la stessa era una municipalizzata pura.

L'AMTS è solo un esempio di ciò che da oggi in poi non sarà più tollerato. Non solo da parte nostra.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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