E adesso Palazzo Paolo V Società

La storia, per me bambino in compagnia di mamma alle prese con uno “stato di famiglia” da richiedere al primo piano, erano gli scalini consunti da secoli di andirivieni. Palazzo Paolo V, detto anche familiarmente il Municipio, non aveva splendori da abbacinare. Mostrava la sostanza del potere certificata dallo sfregamento di calzari non sempre nobili eppur fiduciosi che, a salire quelle scale, si andava verso la soluzione di qualche problema.

Un po' più misteriosa appariva quell'altra scala, in fondo al cortile, solennizzata da una coppia di colonne a custodire il drappo del pudore. Il Monte dei Pegni “Orsini” da un lato e dall'altro la Banca del Monte. Di là si andava ad “impegnare” una catenina d'oro o un anello per avere un po' di spiccioli per procurarsi qualcosa da mettere sotto i denti. Di qua, per lo più, a pagare cambiali.

Forse per questa commistione di funzioni espletate dal severo palazzo, non vi si incontravano solo fogge di benestanti. A rassicurare il popolo basso provvedeva del resto, entrando a sinistra, il “corpo di guardia” di quelli che saranno chiamati vigili urbani.

Palazzo Paolo V era, insomma, il vero “palazzo di città”. Vi si concentrava il potere autoritario e il potere democratico da poco elargito e abbastanza prontamente recepito.

Il sindaco Mario Rotili fece sistemare, al secondo piano, la sala del consiglio comunale. Nessuna spesa folle. Furono utilizzati i banchi preesistenti, alle pareti un rivestimenti a mattoncini chiari con la scritta in bronzo Concordes in unum e riproduzioni bronzee degli stemmi appartenuti alla storia alla città. A separare il consiglio dal sempre numeroso “pubblico” una ringhiera sormontata da passamano in legno con in fondo la statua in gesso di Diomede (“mitico fondatore di Maloenton”).

Ai due lati all'interno della ringhiera due tavolini per la stampa. Ricordo che Ciccio Romano, con il calore che accompagnava ogni suo intervento, ma anche secondando la sua passione di giornalista esercitata con intrepida determinazione,chiese solennemente al sindaco di riposizionare la stampa dove era sempre stata, vale a dire al centro dello sghembo emiciclo. Amabilità non esente da rischi, poiché sulla traiettoria dei duelli (non sempre solamente verbali) tra destra monarchico-misina e sinistra social-comunista.

In questa storia mi ritrovai poco più che ragazzo, intimidito non tanto dal fatto che Rotili era anche mio professore di storia dell'arte al Liceo, ma perché a contatto con i “governanti” della mia città, per tacere dei mostri sacri del giornalismo di allora (Edgardo De Rimini, Luigi Vessichelli, Aldo Gambatesa, Gennaro Pescitelli, Enrico Rossi, Tito Margherini).

Il Piano Regolatore Piccinato, la demolizione delle macerie della guerra, la visita del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, il colera del 1973. Fu il terremoto del 1980 a mettere in discussione l'attitudine del palazzo a svolgere le sue molteplici funzioni. Il sindaco Nicola Di Donato fu costretto a tenere le sedute del consiglio comunale nel teatro Comunale, che era diventato cinema con serata dedicate al nuovo filone, si disse così, “a luci rosse”.

Finché si chiese in prestito la sala del consiglio provinciale alla Rocca dei Rettori. E qui, una sera di febbraio del 1982, fu eletto sindaco Antonio Pietrantonio, al quale spetterà di sovrintendere alla messa in sicurezza del Palazzo di città. Fu così deciso lo sgombero totale dello stabile e fu approntato, mediante opportune modifiche funzionali, l'ex Magistrale, ovvero il Palazzo Mosti di via Annunziata.

La ristrutturazione di Palazzo Paolo V andò per le lunghe, al punto che quando, sindaco Sandro Nicola D'Alessandro, i relativi lavori terminarono non ci fu quasi nessuno a “rivendicare” al governo della città il suo legittimo e storico domicilio.

Ora che è stata riaperta la Cattedrale, ricordando che il potere temporale e il potere religioso quasi in concorrenza tra loro avevano edificato in contemporanea (e uno di fronte all'altro) il palazzo di città e il palazzo arcivescovile, pare inevitabile una sollecitazione al sindaco Fausto Pepe e alla sua amministrazione affinché torni alla sua primitiva funzione un altro edificio dal profondo significato simbolico.

Palazzo Paolo V deve tornare ad essere la casa del sindaco e, con essa, la casa di ogni civis beneventanus.

Non è soltanto la soddisfazione di una nostalgia. Di questi tempi, ci si potrebbe presentare l'occasione di esibire un altro quarto di nobiltà. Palazzo Paolo V è una tappa “fondativa” a riconoscimento, peraltro, di una tradizione amministrativa che rimanda agli statuti del dodicesimo e tredicesimo secolo. Tradizione di cui andare orgogliosi e da tenere a mente, quasi una bibbia sulla quale giurare, da parte di ogni nuovo amministratore. Concordes in unum, appunto.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it 

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