Il verde bene comune Società

Nulla accade per caso. Non è colpa della neve il massacro di alberi che anche il più svogliato tra gli osservatori si è trovato a monitorare. Né vale prevedere che un'altra nevicata così passerà tra cinquant'anni. Basterà una mezza giornata di vento o un temporale estivo.

Il fatto è che, di fronte ad un aumentato “consumo” di verde soprattutto da parte di privati, è paurosamente scemata la pratica della coltivazione e, con essa, una vera cultura tramandata di padre in figlio. Così come in altri campi (si pensi alla medicina) l'uomo medio si sente esonerato da qualsiasi applicazione e coltivazione di conoscenze, fidando totalmente nell'intervento di “altri” (il medico di base, il 118, l'Ospedale), altrettanto accade per altre piccole incombenze: come non pensare all'idraulico, che viene chiamato anche per la semplice sostituzione di una guarnizione?

Quando si parla di alberi e piante si deve avere l'accortezza di riflettere sulla circostanza che il loro ritmo di crescita non può essere sollecitato dalla mano dell'uomo. Una perdita quantitativa di alberi non può essere colmata con interventi sostitutivi. In altre parole un albero non si fa col cemento. Un palazzo antico crollato o abbattuto si può ricostruire in pochi mesi. Un albero per riproporsi in uno scenario urbano ha bisogno esattamente degli anni che erano serviti per far arrivare quello abbattuto.

Il danno emerso a seguito della nevicata va calcolato, quindi, mettendo insieme i costi degli interventi immediati e quelli della riduzione del patrimonio di verde di cui saremo privati nei prossimi anni. E' un danno che si poteva evitare?

In Campania c'è una delle facoltà universitarie di agraria più autorevoli al mondo. A Benevento opera un istituto tecnico (già professionale) per l'agricoltura. Qual è la loro quota di protagonismo nella materia del verde, pubblico e privato? Di quanto si allontana dallo zero assoluto?

Se per montare le tende si chiede l'ausilio dell'architetto, perché per piantare un albero davanti alla villetta facciamo di testa nostra? Non sarà colpa della neve o del vento se, tra trenta anni, un cedro piantato a tre metri dalla parete mi danneggerà il tetto; o se una mimosa farà saltare il muro di cinta al quale l'avevo accostata a mo' di siepetta; o se un pino mi sconquasserà il marciapiede e forzerà la fondazione.

L'homo sapiens in verità spesso dà prova di insipienza. Abbiamo più volte toccato il tasto della competenza quando abbiamo denunciato le capitozzature praticate dal Comune, che pure minaccia sanzioni pecuniarie nel suo regolamento del verde. Lo si vede in questi giorni quando, pur essendo passata l'emergenza, si vedono all'opera carpentieri più che giardinieri. Come sfotteva il sindaco Pietrantonio dicendo che non bastava comprare una costosa telecamera per potersi definire giornalisti, altrettanto si può dire che non basta saper maneggiare una motosega per essere autorizzati a tosare una pianta. Per il semplice motivo che le piante non si tosano, ma si potano. E la potatura è un'arte che obbedisce a precise regole, che non comprendono il capriccio.

Prendiamo l'esempio della villa comunale, un “campione”emblematico di cose storte accadute nell'indifferenza generale, quando non con il plauso degli incoscienti.

La nevicata dell'85 fece cadere l'abete ai lati dell'ingresso di piazza Castello. Il restauro di una diecina di anni fa ha regalato alla città quel sostegno in mattoni al ramo orizzontale del “gemello” rimasto in piedi di lato alla palazzina Nobile. Ma veramente quel pilastrino di mattoni “regge” quell'albero?

Lo stesso restauro della villa, operato con severi interventi della Sovrintendenza per quanto riguardo il colore del cemento dei vialetti, ha prodotto una novità mondiale. Il prato all'ombra del bosco. Si saranno accorti, al Comune, che il manto verde non era proprio quello disegnato nel progetto. Hanno dato ordine di innaffiare. Il prato non s'è mai consolidato, in compenso i lecci e gli ippocastani hanno preso tanta acqua che non hanno mai smesso il manto smeraldo del muschio. E secondo voi il tronco che non respira è un legno che può resistere al peso della neve?

Anche in villa è stata fatta una potatura tendente a portare in orizzontale i rami, così come per i lecci del viale degli Atlantici. Rami corti (per tenere ferma la forma a bauletto) hanno ceduto lo stesso perché agli alberi è stata segata la forma a calice per obbligare i lecci a un comportamento da glicine. Un albero non può avere forma di rampicante.

Poiché dal verde, sia pubblico che privato, discendono nutrienti ed elementi biochimici indispensabili alla vita, il patrimonio di alberi e piante, per la sua attinenza alla cultura, al benessere ambientale, al godimento spirituale, deve essere salvaguardato come la cosa più preziosa della quale possiamo disporre.

Accrescere le conoscenze e conservare le sane pratiche manutentive significa conservare questo patrimonio. Che è patrimonio dell'umanità, senza bisogno del timbro dell'UNESCO.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it