Il voto è tutto un quiz Società

Le elezioni del 24 e 25 febbraio sono eccezionali. Non rientrano, cioè, nella casistica pure abbastanza pingue della Repubblica Italiana. Non si è mai votato in pieno inverno, con il pericolo di impedimenti materiali al libero spostamento di elettori che vivono in zone montane o in località isolate dai centri più popolosi.

Non si è mai votato con un governo in carica da quasi un anno e mezzo, formato in stato di necessità e tenuto incollato per volontà del Presidente della Repubblica da una tenaglia le cui mandibole sono esattamente i due schieramenti tra loro avversi usciti dalle elezioni del 2008.

Verificata la crisi del governo Berlusconi, non sancita da un formale voto di sfiducia, ma da una “spontanea” decisione del Cavaliere, non si è scelta la via maestra (e breve) delle elezioni. Si è sperimentata una lunga “pausa tecnica di riflessione” (come si usava dire al tempo della Democrazia Cristiana) senza un preciso termine di scadenza. E' stato Berlusconi a rompere gli indugi e a provocare la decisione di andare al voto a febbraio 2013.

L'Italia s'è spaccata. Sono venti anni che è spaccata a metà tra berlusconiani e antiberlusconiani. Sono stati questi ultimi ad alzare il tono della polemica accusando il Cavaliere di essere uno sfasciacarrozze. Nel senso che, pur non avendo nessuna prospettiva di vittoria, ha voluto le elezioni. Ma se Berlusconi non le vince le elezioni, le vincono (o no?) quegli altri. E, allora, di che lamentarsi?

Da quando c'è Berlusconi mai nessuna coalizione ha vinto per due volte di seguito le elezioni politiche. Si è realizzato, nei fatti, un regime dell'alternanza.

Caduto Berlusconi, sul finire del 2011, gli altri avrebbero vinto a mani basse le elezioni, se si fossero tenute subito. Passato quasi un anno e mezzo con Berlusconi sulla graticola, accusato di essere il responsabile della crisi economica che il governo Monti è stato chiamato a tamponare, le elezioni le dovrebbero vincere sempre gli altri.

Perché mai, allora, questi altri si accaniscono contro Berlusconi? Perché il Cavaliere, piazzandosi inopinatamente in mezzo al ring, sta sfruttando proprio la lungaggine che avrebbe dovuto tramortirlo consentendo agli altri di riorganizzarsi.

Il (troppo) tempo passato col governo Monti ha provocato il terzo fatto nuovo. Né Berlusconi e né il PD stavolta sono a capo di una vera coalizione. Il bipolarismo rafforzato dalla legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza senza nessuna soglia prefissata (si porta a casa la maggioranza dei parlamentari chi arriva primo alle elezioni sia pure con un solo voto in più del secondo e due voti in più del terzo) aveva indotto, fino a cinque anni fa, alla composizione di coalizioni allargate. Accanto ai due schieramenti per dir così tradizionali si sono variamente consolidati alcuni guastatori. Il primo, anche per le previsioni che gli accreditano i sondaggisti, è il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Il secondo  è la Rivoluzione Civile di Ingroia. Seguono a debita distanza frammenti di destra, sostenitori del fare, fratelli e amanti d'Italia.

La novità assoluta è, però, il raggruppamento che vede insieme l'UDC di Casini, Futuro e Libertà o quel che resta di Fini e lo spirito del governo tecnico in carica. Mario Monti, designato premier ma non personalmente candidato perché già senatore a vita, presenta Scelta Civica per l'Italia. Nessuno ha ancora capito se Monti scherza quando dice che potrebbe allearsi con il PD se Bersani molla Vendola o con il Partito della Libertà se Alfano  lascia fuori Berlusconi.

In parole semplici, alle due coalizioni tradizionali non è chiaro se può aggiungersi come terzo contendente Monti, ovvero se il predetto Monti rinuncia alla vittoria (e al premio di maggioranza) e giocherà le sue carte dopo le elezioni (come Grillo) essendo libero di concludere alleanze con uno dei vincenti ovvero di fare opposizione in parlamento.

Detto che non ci sono le preferenze e che, quindi, l'elettore semplice non può modificare col proprio voto l'ordine d'arrivo dei candidati, sia che la lista votata vinca sia che perda, è difficile stabilire quale sia il fattore emotivo determinante per la scelta del voto.

Puntare su un candidato locale, una persona amica o signore di cui conosci la storia e le competenze, non serve a molto se il tuo candidato ideale non ha nessuna possibilità di essere eletto. Bisogna sperare in una moria di quelli che lo precedono in lista, ma si sa che i politici godono generalmente ottima salute.

Resta la facoltà di dare un voto ideologico. Quelli che odiano Berlusconi dovrebbero votare Bersani, che è il più forte tra i suoi avversari. Chi non sopporta Bersani dovrebbe votare Berlusconi, l'unico possibile contendente che si beccherebbe il premio di maggioranza.

Una volta si votava Comunista se si odiavano la Democrazia Cristiana e i preti. E si votava (turandosi il naso, secondo Indro Montanelli) la Democrazia Cristiana se non si sopportavano i comunisti. Il 24 e 25 febbraio si voterebbe “a dispetto”, prima ancora che “a favore”.

Come andrà a finire? Renzo Arbore cantava: “Sì, la vita è tutto un quiz”. Stavolta saranno le elezioni “tutto un quiz”?

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

Altre immagini