La tassa sui rifiuti e i furbi ristoratori Società

Suona il citofono: “Chi è?” - “Postino. Scenda, per favore. C’è da firmare.” La giornata, fino a quel momento allegra e serena, si colora di un grigio intenso. Nella mia mente, all’improvviso, compare una semplice equazione: lettera raccomandata = trave di fuoco.

Chi mi minaccia questa volta? Un autovelox mi ha scoperto a 35 km all’ora dove il limite era 30 km? La banca vuole che rientri per qualche mia assai modesta esposizione? Qualcuno, da un passato remoto, mi chiede ancora soldi? No, per fortuna. E’ solo il Comune di Benevento, Settore Finanze, Servizio Entrate, che mi invia - cito testualmente - un “Sollecito di pagamento T.A.R.S.U. anno 2009”. Mi irrita, oltre al notevole ritardo della richiesta, il fatto che la missiva dell’Ufficio è assai vaga. Non sanno se ho omesso uno o tutti i pagamenti e questo mi sembra francamente sciatto e superficiale. Ci si aspetta che un ufficio sia in grado, almeno annualmente, di far fronte alle proprie incombenze istituzionali.

Comunque - penso quasi subito - ho scampato il pericolo, poiché ho l’abitudine - anche un po’ sconveniente, per la verità! - di pagare ogni cosa che mi viene richiesta. Ma, poi, mi punge un dubbio malevolo: dove ho messo le ricevute? Sì, d’accordo, nella cartella apposita, ma sono veramente lì? Non è che, per compiuta capienza della suddetta cartella, l’ho sostituita con una nuova? E, in questa dolorosa ipotesi, dove ho “conservato” la cartella precedente?

E’ la stessa situazione di quando in casa non si trova una cosa e ognuno vorrebbe dare la colpa all’altro di ciò che non si trova. Con l’aggravante che qui non si tratta di una semplice baruffa familiare, ma di sborsare di nuovo la cifra, maggiorata dalle spese di notifica. Dopo qualche affannosa ricerca, trovo le ricevute. Ho tre opzioni: andare all’Ufficio e mostrarle, mandarle per fax oppure inviarle via email. E se non le avessi trovate? C…. miei: avrei dovuto ripagare.

Non so bene perché, ma nella mia mente mi rimbalza un antico ricordo degli anni Sessanta, quando la Guardia di Finanza scoprì che molti ristoratori avevano l’abitudine di aggiungere al conto non solo la voce “Coperto” (pane, acqua, servizio), ma anche quella siglata con SVV. La gran parte dei clienti non faceva storie e pagava il conto senza chiedere ulteriori spiegazioni. Ma qualche utente “impiccioso” cominciò a chiederne il motivo e, non convinto, informò le autorità competenti. Risultò essere l’abbreviazione di “Se va, va!”. Insomma, ci ho provato: qualche pirla che paga senza fiatare lo trovo sempre! Proprio così.

LUIGI PALMIERI 

Altre immagini