Mettere mano alla nuova Provincia Società

Gli inglesi dicono right or wrong is my country. Giusto o sbagliato quel che è avvenuto per la nuova provincia, dobbiamo abituarci a pensare che quella è la istituzione che ci riguarda. Non possiamo vivere di risentimenti, di nostalgie, di rancorosi propositi. Quel che è fatto è fatto.

Beneventani e avellinesi, (male) abituati a sfottersi sulla falsariga di luoghi comuni o di sorpassati splendori pallonari, si ritrovano a dover costruire insieme una nuova istituzione ed una nuova dimensione territoriale. Bisogna, quindi, rinfoderare le asce di guerra e scambiarsi un pacificante ramoscello d'ulivo.

Nessuno, peraltro, ha fatto la guerra all'altro. Il Sannio ha cercato di sopravvivere, ipotizzando anche di rosicchiare un po' di territorio irpino. Ma, sforzandosi di sopravvivere, non ha mai tramato per la soppressione dell'altro. Né è partita da Benevento la stranezza di un capoluogo (appunto Benevento) posto a capo di un territorio che per la maggiore estensione deriva dall'altra ex provincia. Non ce ne eravamo accorti, tant'è che a tutt'oggi di questo consolazione nessuno si ritiene in dovere di ringraziare chicchessia.

Ma Benevento capoluogo legittima un potere di iniziativa che non deve essere sprecato. Tale potere di iniziativa spetta alla delegazione politica beneventana, che ha oggi in Pasquale Viespoli il soggetto maggiormente dotato di autorità parlamentare.

Le questioni da affrontare non riguardano, infatti, la sola dimensione dell'istituto Provincia (quella che una volta si chiamava Amministrazione Provinciale). In tal caso spetterebbe alla Regione la “regia” della operazione. Non è uno scherzo della storia che il presidente regionale Caldoro abbia per primo ipotizzato la fusione delle due province di Benevento e Avellino. E potrà essere tranquillamente Caldoro a gestire la composizione degli organi della nuova Provincia.

Le questioni che coinvolgono più direttamente cittadini e funzionari pubblici riguardano la “sistemazione” delle strutture locali delle Amministrazioni pubbliche di interesse nazionale, nonché delle dipendenze delle articolazioni dell'Ente Regione.

Il risparmio che si calcola di ricavare dalla soppressione di 36 province non è relativo solo al costo vivo dell'ente locale provincia: presidente, giunta, consiglieri, funzionari , uffici e strutture burocratiche, servizi strumentali, aziende speciali eccetera. Saltano 36 prefetti, 36 questori, 36 colonnelli di carabinieri e di guardia di finanza, 36 direttori provinciali di uffici del lavoro, di INPS, di Motorizzazione Civile, 36 dirigenti dell'Ufficio Scolastico Provinciale. E, con loro, tutti i dirigenti e funzionari dipendenti, uffici e strutture operative, macchinari e apparati tecnologici. E, attorno ad essi, svaniscono forniture, appalti per servizi, fitti di locali, contratti di manutenzione, acquisti di beni e servizi.

E' tempo di scoperchiare la pentola. Bisogna dare un senso alla circostanza, poco più che casuale in apparenza, che Benevento risulta essere il capoluogo della nuova, più grande, provincia. Capoluogo ha significato, nel passato, che anche gli uffici statali, nel rispetto dalla ripartizione territoriale originaria dell'ordinamento del Regno, vi trovavano la loro sede naturale. In province territorialmente complesse esistevano, tutt'al più, delegazioni sub-provinciali.

E' realistico pensare che Prefettura, comandi di Carabinieri e Guardia di Finanza, Questura, INPS, ex Provveditorati agli Studi; e Motorizzazione, Corpo Forestale dello Stato, Agenzia delle Entrate, Agenzia del Territorio, Monopoli di Stato, Camera di Commercio; e consigli direttivi di ordini professionali; e distaccamenti e recapiti degli assessorati e gli enti regionali (si pensi agli enti per il Turismo, fin quando esisteranno) che tutti questi soggetti possano trovare posto a Benevento? E' realistico pensare che Avellino ne possa essere spossessata senza che ne sorgano contrasti e controversie? E' sensato immaginare che una operazione del genere si possa fare a Roma (o a Napoli), senza la partecipazione delle parti interessate?

Ecco il lavoro da porre in agenda, senza perdere altro tempo attorno a fantasie consolatorie di punti di vista che perdono la stessa (astratta) legittimità quando i fatti sopravanzano le attese (di una sentenza della Corte Costituzionale, di un referendum, di una fuga in altra moribonda regione). E bisogna farlo, questo lavoro, riaggregando anche i delusi della soluzione governativa, tra i quali non può non esserci la stessa classe dirigente irpina. Non si può certo dividere il bottino in parti uguali e neanche in parti proporzionali (alla popolazione, per esempio). Ci sono uffici e servizi che devono stare vicini. Ma attenzione. Non sarebbe il massimo per un imprenditore dover andare alla Camera di Commercio ad Avellino, in Questura a Benevento e in Tribunale a Vallo della Lucania per qualche serie di timbri su una pratica.

Far quadrare funzionalità e prestigio per le istituzioni, nonché economicità e accessibilità per l'utenza non è operazione semplice. Ma proprio a questa operazione bisogna accingersi, perché è posta dal calendario come imminente e non rinviabile.

Chi prenderà l'iniziativa avrà qualche vantaggio. Soprattutto se farà uso di tatto e metterà al primo posto né supponenza né desideri di rivincita.

La cosa è troppo seria per lasciarla sfruttare ai descamisados. E forse è anche troppo seria per il solo, “stretto” ceto politico.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it 

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