Rafforzare la Provincia Società

La rincorsa alla convegnistica politically correct (talvolta anche scarsamente frequentata) fa disperdere energie e distrae da questioni più concrete alle quali occorre dare risposte urgenti.

Prendiamo la questione delle Province. Azzerate dalla riforma della Costituzione, poi annullata dal referendum del 4 dicembre dell’anno scorso, sono rimaste in piedi nella “veste” loro assegnata dalla legge Delrio, la quale legge - però - è stata coinvolta nel crollo della riforma costituzionale.

Se n’è accorto nessuno che oggi un organo di rilievo costituzionale (la Provincia) è disciplinata da una legge concepita nel seno di una riforma costituzionale bocciata dal popolo e, perciò, tamquam non esset? La Delrio è come se non ci fosse mai stata, ma intanto nella prassi quotidiana è come se ci fosse ancora.

Chi deve affrontare una questione del genere? Innanzitutto le comunità interessate ai “tagli”. Nel caso nostro, è chiamata in causa la classe dirigente (politica, economica, culturale, religiosa) dalla quale vogliamo sentire una parola chiara, cui far seguire (contestualmente, non dopo...) una coerente e forte iniziativa istituzionale. Non possiamo attendere le autorità centrali, tutte prese ad arrivare indenni alle elezioni politiche della prossima primavera. Perché se tutto andrà bene il nuovo parlamento potrà cominciare a lavorare il prossimo autunno. E comunque, visto come hanno trattato la delicata materia, meglio sarebbe non fidarsi ed anticipare una soluzione che possa, tra l’altro, tutelare i nostri interessi.

Noi ripetiamo la nostra posizione. Le Province non possono essere soppresse se non con una nuova legge di riforma costituzionale. Con legge ordinaria se ne può rivedere il numero e disciplinarne le competenze. E qui bisogna scendere in campo per mettere dei paletti chiari, secondo criteri oggettivi (cioè numerici). Anche per far uso di elementi oggettivi, occorre tuttavia creare alleanze politiche forti affinché la legge dei numeri sia ampiamente condivisa.

Aggiungerei che sulle competenze ci sarebbe da fare un discorso tutto nuovo. Confermata dal referendum quella parte della Costituzione riformata nel 2001 (il famoso Titolo V), ci sarebbe da assegnare alle Province un ricco patrimonio di competenze sussidiarie e concorrenti. Rafforzate per competenze proprie e per la funzione di snodo tra i piccoli comuni e la realtà regionale e centrale, le Province dovrebbero appropriarsi di competenze proprie, oltre che di altre possibili, derivate anche accordi interistituzionali.

Ciò posto, si ritorna inevitabilmente alla cura dimagrante che è stata la linea di indirizzo di quest’ultimo lustro. Dal soffocamento in culla ad opera di Mario Monti, alla decimazione ondivaga di Alfano e Delrio, sarà giocoforza accettare una drastica riduzione del numero delle Province. Ebbene, facendo ognuno i propri interessi, la Campania (la Campania, ripeto, non solo il Sannio) ha le carte in regola per conservare le quattro province più la città metropolitana di Napoli.

Riassumo i numeri già altre volte offerti alla riflessione dei lettori. Ipotizziamo che in tutta Italia debbano sopravvivere 50 Province. Divisa la popolazione del censimento nazionale (circa 60 milioni, anno 2011) per 50, si ha un “quoziente” di 1milione e 200mila. E’ la legge base del sistema elettorale proporzionale. Quante volte 1milione e 200 mila sta nella popolazione della Campania di 5 milioni e ottocentomila? Ci sta quattro volte, più un resto.

Applicando questo criterio a tutte le regioni d’Italia, la Campania non dovrebbe chiedere l’elemosina a nessun altra per conservare il suo status quo.

C’è qualcuno, in provincia di Benevento, che abbia voglia di andare a chiedere solidarietà alle altre province campane (o ad altre regioni che si trovino in condizioni simili) per condurre una iniziativa comune? Considerata l’accoglienza che le nostre proposte hanno avuto allorché furono rese pubbliche, più che scoraggiarsi c’è da sbrigarsi.

Forse non è inutile ripetere che dalla conferma rafforzata dell’ente Provincia conseguono la permanenza di tutti gli organismo statali che storicamente si sono strutturati a base provinciale ed insediati nel comune capoluogo: Prefettura, Questura, Uffici Finanziari, Provveditorato agli Studi, comandi dei vari corpi di polizia e, accanto a questi, gli istituti bancari e le associazioni sindacali e gli ordini professionali, il sistema scolastico e quello turistico.

Il primo passo da compiere è quello di abbandonare da subito l’invaghimento per l’area vasta, verso la quale si sono già lanciati la Camera di Commercio, le organizzazioni sindacali e qualche politico interessato a costruirsi un collegio elettorale di taglia sufficientemente large.

Anche la configurazione dei nuovi collegi elettorali, nascenti dalla legge appena approvata (Rosatum più che Rosatellum), rientra tra le cose con le quali dovremmo tutelare i nostri interessi. Vedremo se ci saranno spiragli per ben sperare.

MARIO PEDICINI 

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