Tumori, le cellule staminali sono la grande speranza Società

Antonio Iavarone, dopo gli studi ginnasiali e liceali consegue la maturità classica a Benevento nel 1981, si laurea “summa cum laude” all’università Cattolica di Roma nel 1987, specializzandosi poi in oncologia pediatrica nel 1991. Nel 2000 lascia l’Italia per gli Stati Uniti, in polemica con il sistema nepotista dell’università, che non gli permetteva di sviluppare adeguatamente le ricerche sui tumori al cervello dei bambini. Negli Stati Uniti trova i mezzi, lo spazio, il sostegno di due prestigiose università newyorkesi, prima la “Albert Einstein” e dopo la “Columbia”. Oggi Antonio Iavarone è professore associato di patologia e neurologia presso il Department of Neurology and Institute of Cancer Genetics della Columbia University di New York.

Il premio Nobel Renato Dulbecco fu tra i primi a parlare di terapia genica mirata per combattere il cancro, quella che la gente erroneamente considera un’unica malattia.

I tumori, appunto come tu dici, non sono una malattia ma molte diverse malattie, quindi non c’è l’idea di poter avere un farmaco magico tale da curare questa malattia. D’altra parte già oggi molti tumori si curano rispetto al passato, come le leucemie dei bambini che, se prima morivano tutti, oggi ne sopravvivono la stragrande maggioranza. Ci sono molti tumori in cui si sono fatti dei grandi progressi, mentre ce ne sono altri per i quali oggi non ci sono terapie adeguate. Proprio su questi ultimi c’è necessità che si faccia ricerca per consentire di curare anche quei tumori resistenti alla terapia farmacologica, alla chemioterapia, alla radioterapia. Questo oggi lo si può fare perché oggettivamente siamo in un periodo di rivoluzione genomica del cancro, e se ne parla soprattutto negli Stati Uniti.

E a proposito di Dulbecco?

Il suo nome si associa al famoso Progetto Genoma, fatto dieci anni fa allo scopo di sequenziare tutto il genoma umano, con macchinari che hanno consentito di ottenere proprio tutte le lettere del genoma. All’epoca tutto questo ha comportato uno sforzo di dieci anni e vari miliardi di dollari, oggi invece lo si può fare in pochi giorni e con costi relativamente limitati, consentendoci di capire per qualsiasi singolo tumore quali sono le alterazioni molecolari presenti all’interno di quel tumore, quindi anche un tumore che non può essere curato, che non risponde alla terapia tradizionale. Se noi facciamo questa sequenza completa del tumore, possiamo trovare che questo tumore di quel determinato individuo può avere un’alterazione genetica contro la quale già oggi ci possono essere dei farmaci che, se mai non sono mai stati usati in quel particolare tipo di tumore, ma che proprio perché lo troviamo per quella persona, per quell’individuo e non per altri, possono essere estremamente utili.

Puoi fare qualche esempio concreto?

Proprio oggi c’è stato un articolo sul New York Times – ma in realtà negli Stati Uniti se ne sta parlando moltissimo di tutto questo mentre in Italia no, e non ti sarà sfuggito visto che era in prima pagina – con una storia di un giovane ricercatore che aveva una leucemia che non rispondeva a nessun farmaco. Hanno fatto la sequenza del tumore – tra l’altro questo ricercatore lavorava proprio sulle leucemie – nel luogo dove faceva ricerca, ed oggi questa persona ha la leucemia in remissione.

Questi sono i vantaggi della medicina odierna, non siamo proprio al palo come molti immaginano, solo che c’è un difetto di comunicazione…

No, c’è il difetto che tutte queste cose che ho raccontato, oggi non sono presenti in Italia. Stiamo parlando di cose che non sono di routine, di cose che funzionano nei migliori centri di ricerca del mondo e che quindi anche da un punto di vista terapeutico in Italia non ci sono, perché se non ci sono centri di ricerca estremamente validi va da sé che anche dal punto di vista terapeutico noi non riusciamo ad offrire le stesse possibilità sperimentali che invece sono presenti in altri posti del mondo. E non parliamo poi del Sud Italia.

A proposito di cellule staminali e di tumori al cervello, a che punto siamo?

I tumori più aggressivi prendono in prestito molte caratteristiche dalle cellule staminali, cioè le cellule che sono in grado di formare qualunque tessuto dell’organismo. Oggi le cellule staminali sono una grande speranza per malattie che hanno avuto la distruzione di alcuni tessuti, per esempio il morbo di Parkinson, in cui c’è la distruzione di alcune cellule del cervello. Quindi il fatto di poter rigenerare queste cellule, che muoiono in quella determinata malattia, con le cellule staminali è oggi una delle più grandi speranze della medicina rigenerativa. Quello che però i ricercatori hanno visto è che queste cellule staminali hanno delle caratteristiche molto simili a quelle dei tumori più maligni e quindi questi ultimi hanno delle alterazioni molecolari proprio in quelle molecole che normalmente funzionano nelle cellule staminali normali. Questo è quello che noi abbiamo studiato, quindi queste molecole che funzionano in maniera anomala, aberrante nei tumori maligni, che invece non dovrebbero esserci, possono essere delle molecole che noi possiamo andare a bersagliare con dei nuovi farmaci. Un discorso che per noi è sempre alla base per poi pensare a nuove terapie.

La gente si chiede sempre perché passa troppo tempo tra la scoperta scientifica e poi l’applicazione clinica.

Perché l’applicazione è tutta un’altra storia, è molto più complicata, richiede i farmaci, i farmaci non sempre ci sono, e anche quando ci sono, poi bisogna mettere su degli studi clinici internazionali il più delle volte per sperimentare questi farmaci. Per esempio noi adesso già sappiamo che per questo gruppo di pazienti con tumore al cervello c’è un farmaco prodotto da alcune case farmaceutiche che possono dare questo farmaco per avere grandi, importanti benefici curativi. Il problema sta nel convincerle a darlo effettivamente questo farmaco, a fare la sperimentazione. E prima di capire se funziona o non funziona, perché quando fai la sperimentazione non lo sai ancora, passano naturalmente molti anni.

Però di solito la casa farmaceutica se non c’è il business non investe.

Esatto, poi c’è il problema del business e ci sono maggiori difficoltà soprattutto quando il numero dei pazienti non è alto. Infatti noi non ancora abbiamo cominciato questa sperimentazione clinica sui malati, anche se tutti i presupposti per farla ci sono, cioè il farmaco c’è e sappiamo come individuare i malati che potranno essere curati da questo farmaco.

Per la prevenzione delle altre forme tumorali si fa abbastanza?

Per alcune, si sa, c’è il discorso degli screening: qui se ne fanno di meno che negli Stati Uniti, dove per esempio dopo i 50 anni tutti sono invitati a fare una colonscopia ogni cinque anni per andare a scoprire in maniera molto precoce possibili alterazioni nel colon. S’è visto che è molto importante e riesce a prevenire i tumori più maligni in quanto si riescono a scoprire alterazioni molto piccole che vengono successivamente rimosse.

GIANCARLO SCARAMUZZO

giancarloscaramuzzo@libero.it  

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