La statua Pane e Lavoro Cultura
Al centro della collezione contemporanea del Museo del Sannio, si trova la scultura di Emanuele Caggiano, Pane e Lavoro, in deposito dal Museo di Capodimonte di Napoli. Gli scatti effettuati e qui mostrati sono avvenuti dietro regolare autorizzazione scritta da parte della Soprintendenza.
E’ tanto che volevo parlare di questo capolavoro, girando qua e là per la città alla ricerca della “Benevento che non ti aspetti”. Forse perché il titolo di questa scultura è assai indicativo dei bisogni primari della nostra società in crisi. Sicuramente per la raffinatezza di questo lavoro, anche, che ai suoi tempi primeggiò al Salone di Parigi e di Londra, ottenendo ripetute repliche.
La statua in marmo raffigura una giovane cucitrice, una donna del popolo, intenta a lavorare. Ai suoi piedi si trova un cestino in cui è deposta una pagnotta di pane. Soave e serena è l’espressione della fanciulla dalla folta capigliatura, intenta a svolgere il suo lavoro. Una croce le pende dal collo e le sue agili mani intessono un ricamo di fattura perfetta, tenuto sulle gambe accavallate, mentre la veste che indossa la lascia scoperte le spalle ed in parte il seno. Le molteplici pieghe del leggero abito le cadono sui piedi scalzi.
L’autore di Pane e Lavoro era un sannita doc. Per la precisione era nato a Benevento il 12 giugno 1837, da Fedele Caggiano, di Buonalbergo, anch’egli artista, scultore esperto nella realizzazione di busti, e da Maria Stella Paragone, di Benevento. Aveva una sorella, Caterina Angela, nata nel 1828. Come leggiamo nel Corriere dell’Oratorio di Buonalbergo (di Natale 2011), Emanuele a soli 12 anni nella città di Bari, dove si era trasferito con la famiglia, realizza un ritratto del conte Candido Gonzaga, che gli vale un notevole successo.
Assecondando le doti artistiche del figlio, il papà Fedele nel 1851 lo invia a Napoli a studiare all’Accademia di Belle Arti, sotto la guida del maestro Angelini. Quando, a causa di problemi economici, Emanuele si trova a non poter più rimanere nell’istituto, chiede aiuto al governo, sostenuto dal suo maestro, che ne decanta le qualità morali ed “una disposizione veramente singolare per la scultura”.
Ottenuto un sussidio dalla provincia di Bari, Emanuele inizia la sua escalation artistica, in ambito scultoreo e pittorico. Si distingue a Napoli nel 1855 con una tela raffigurante la Maddalena e, quindi, con il rilievo “Il Cimbro che va per uccidere Mario”, vince il concorso per il pensionato a Firenze. In questa città diventa allievo di GustavoDupré ed affina la sua arte.
E proprio nel contesto del naturalismo e del classicismo accademico, matura l’opera Pane e Lavoro (1862), dalla forte impronta sociale ed umanitaria. L’opera fu acquistata dal principe Oddone di Savoia e fu collocata nel Palazzo Reale di Capodimonte a Napoli. Fu trasferita a Benevento nel 1956, in omaggio alla città che aveva dato i natali allo scultore.
Emanuele Caggiano fu professore di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, cattedra ottenuta con l’opera “Ettore che prima di partire per la battaglia consacra a Giove il suo figliolo”.
A Napoli è sua la scultura della Vittoria Alata che si trova in piazza dei Martiri a Napoli, nonché la statua di Federico II sulla facciata del palazzo Reale di Napoli (che era capitale del Regno). Con queste opere, Caggiano raggiungeva il culmine del suo successo artistico.
Giudizi assai lusinghieri sul talento, sull’opera e sulla moralità dell’artista vennero da più parti del mondo culturale partenopeo, come quelli espressi dall’abate Cesari edal linguista Basilio Puoti. Profonda stima nutrì per lui anche il maestro Dupré, che ricordava la “Vittoria” come una delle sue opere più belle.
Emanuele Caggiano fu il primo maestro di un altro genio della scultura napoletana: Vincenzo Gemito.