Natale in rete Cultura

È un’idea artistica temeraria, non c’è che dire, ed è venuta a Karen Clark Kristine, ‘reverenda pastora’ della Chiesa Metodista di Claremont in California USA. L’ha spiegata così: “In un momento in cui tra violenze fame e morte vengono bloccate e frammentate tante famiglie alle frontiere statunitensi, ho provato a immedesimarmi nella Famiglia di migranti più conosciuta al mondo da duemila anni, partita da Nazareth priva di tutto, costretta a fermarsi a Betlemme per il parto dopo oltre cento chilometri a piedi. Provate anche voi ad andare insieme a loro, io mi sono sentita male”.

Con una ‘installazione’ di Presepe mai immaginata la ‘reverenda’ ha incarcerato Gesù Bambino, Maria e Giuseppe in tre gabbie di rete metallica bordate da filo spinato: Padre e Madre distanziati tra loro davanti alla chiesa, il Figlio nella mangiatoia avvolto in un foglio termico, la stella cometa rappresentata da un faro che acceca gli occhi dei passanti evocando campi di concentramento (foto). Niente altro in quello spazio disumanizzato, che ha suscitato reazioni scomposte. Ma tante volte gli artisti hanno visto criticate, addirittura rifiutate le loro opere. È il destino dell’arte quando rinuncia alla bellezzae sceglie di sconvolgere stereotipi mentali per far riflettere. A qualunque costo.

La ‘pastora’ californiana ha scelto di ribaltare la rassicurante iconografia tradizionale del Presepe traducendola in forme del tutto opposte a quelle abituali agli artigiani napoletani di Via San Gregorio Armeno, che anche quest’anno hanno inventato solo banali figurine: Mario Draghi, Boris Johnson, Victor Osimhen, capelli neri tirati a lucido o chiome d’oro a fare da attrattori. Karen Clark Kristine ha stravolto paesaggio, spazi, oggetti, luci, colori, persone e sentimenti orientando così l’attenzione sulle sofferenze della Sacra Famiglia in una situazione-limite rimasta sempre sottintesa, anzi mimetizzata, in ogni presepe. Ricollegandosi al Minimalismo dei primi Anni Duemila le è bastato ripetere per tre volte uno stesso elemento semplice e impressionante, la gabbia.

Divenuto lì impossibile perfino il più naturale gesto materno di accudimento - come quello della mano della Madonna sul suo Bambino in fasce, fortemente evidenziata invece dall’anonimo artista del secolo XII che scolpì il Presepe di Benevento sulla Colonnina n. 1 del Chiostro dell’Abbazia di Santa Sofia - il Presepe di Claremont ridotto a carcere chiede all’osservatore di guardare con empatia anzitutto la Madre, costretta a partorire in uno squallido rifugio trovato lungo la strada. È la questione dell’ “altro”, attuale in molte aree del mondo ma affrontata con insufficiente sensibilità nel dibattito politico internazionale, fotografata dovunque ma non messa in evidenza proprio nella scena più rappresentativa del Natale, il Presepe. Per farla rivivere, ammonisce l’artista californiana, non si può continuare a porre davanti agli occhi degli osservatori soltanto scene che avvolgono di bellezza spensierata il momento originario della cristianità. E aggiunge: tutte le opere d’arte contemporanea dovrebbero restituire verità alla vita della gente umile, specialmente le scene con figure di neri, zingari,ebrei, musulmani.

L’attività degli artisti può aprire interrogativi mai posti da scenari diventati troppo familiari: c’è tanto da riconsiderare, anche se poi ci ritroveremo in un vuoto. Per esempio, come mai non ci sono ‘neri’ nella pittura e nella scultura dei Greci e dei Romani che per secoli vissero a contatto diretto con le aree africane, considerandole abitate da ‘barbari’ o assoggettandole e importandone schiavi? Quanti gitani fanno da protagonisti nelle opere d’arte europea d’ogni tempo? Forse soltantola Zingarella che legge la mano, dipinta alla fine del Cinquecento dal Caravaggio ma come una borghesuccia, connotata dal gesto realistico dell’indovina. E, dopo la scoperta dell’America, in quante opere d’arte sono stati raffigurati i nativi delle terre d’oltreoceano brutalmente conquistate?

L’idea più sorprendente credo sia quella spuntata nella mente della pittrice francese Marie-Guillemine Benoist che volle celebrare l’abolizione della schiavitù nelle colonie subito dopo la Rivoluzione del 1789 con il Ritratto di ragazza negra della Guadalupa, traducendola però in una dama in poltrona. Artista poco nota l’Autrice e davvero inaspettato il suo quadro per chi in quel tempo se lo ritrovò davanti, così come è avvenuto oggi con l’allucinante installazione del Presepe di Karen Clark Kristine, la reverenda ‘pastora’ metodista di Claremont.

ELIO GALASSO