Rubata un’antica iscrizione latina Cultura
Se a Pompei crollano i muri e il mondo è percorso da un brivido, a Benevento spariscono le iscrizioni e nessuno se ne accorge. Le memorie che la storia ci ha consegnato rischiano di scomparire un pezzo dopo l’altro: lì è un muro, qui un’epigrafe, altrove è qualcos’altro.
Il crollo a Pompei è così eclatante da coinvolgere le alte sfere della politica, qui non vogliamo gettare la croce addosso a nessuno, ma denunciare la situazione di pericolo in cui versa il nostro patrimonio culturale. Abbiamo provveduto a comunicare la notizia all’ufficio della Soprintendenza Archeologica di Benevento, che era a conoscenza del fatto. Grazie alle foto del reperto che abbiamo fornito e che qui riportiamo, speriamo di facilitare le operazioni di recupero dell’iscrizione. Rubare una testimonianza del passato è un furto commesso ai danni dell’intera cittadinanza: è stata asportata un’antica iscrizione latina che si trovava murata nella facciata di una casa in Vico Bagni. La zona fu colpita violentemente dai bombardamenti del ’43 e alcuni brandelli di case restati in piedi sono i muti testimoni di quella sciagura. L’iscrizione in questione era sopravvissuta miracolosamente a invasioni barbariche, a due guerre, ma ciò non l’ha messo al riparo dall’ignoto signore che l’ha staccata a picconate dalla parete dov’era murata.
Di quale storia quell’antica pietra è stata testimone? Illustri epigrafisti si sono preoccupati di ricopiarla ed interpretarla. Si tratta di un'epigrafe nota perchè registrata nel nono volume del Corpus delle iscrizioni latine (CIL), col numero 1825. Il primo a trascriverla fu Francesco Pacca, arcivescovo di Benevento del XVIII sec., che ne diede questa collocazione: “A Benevento, non lontano dalla casa del dottore fisico Giuseppe Pacca, nello stipite di un’umile casetta”. Più tardi, Vincenzo Colle De Vita chiariva che si trovava in via Soricea. Alla fine dell’800, Heinrich Dressel, collaboratore del grande epigrafista Theodor Mommsen, incaricato da questi di ricopiare le iscrizioni beneventane che confluivano nella grande opera del Corpus, usava già la denominazione Vico Bagni per collocare la nostra epigrafe e precisava che la casa in cui era murata era quella di un mugnaio. Questo il testo con le integrazioni e relativa traduzione:
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L(ucius) Frega[nius]
L(uci) l(ibertus) Satu[rus]
sibi et Fre[ganiae]
L(uci) l(ibertae) Helena[e]
Freganiae C(ai) [l(ibertae)]
Diodorae
sibi et sue[is]
(i)n fr(onte) XII in ag(ro) p(edes) [XII]
Come testimonia la foto, l’iscrizione era al suo posto almeno fino al 1999, ma ora nello stesso punto c’è un triste vuoto.
Mi appello al “signore” che ha portato via l’iscrizione, forse ingenuamente entusiasta di avere a casa sua una cosa antica, forse spinto dall’avidità di ricavarci un po’ di denaro. In mano sua è poco più di una pietra; collocata al suo posto era un documento, una testimonianza. Lei, caro “signore” ha privato altri beneventani, che non hanno potuto vedere l’iscrizione, di una parte della loro storia; ha precluso gli studi che si stanno faticosamente compiendo in questa città su una parte di passato sconosciuta. Inoltre non vorrei essere nei suoi panni. Non porta bene avere in casa una lapide funeraria, perché di questo si tratta! Stia attento, potrebbe avere sogni agitati: Lucio Freganio Saturo, Fregania Elena e Fregania Diodora potrebbero venire a disturbarla, reclamando la loro iscrizione funebre, perché nel luogo dove ora si trova, i loro nomi non saranno letti e la loro memoria sarà perduta per sempre. Restituisca alla loro città questi nostri antichi concittadini! Magari riponendo l’iscrizione nel luogo stesso a cui l’ha strappata. Qualcuno potrà ancora raccontarci la loro storia, ricostruendola con amore e rispetto. Al suo buon cuore!
PAOLA CARUSO