S. Sofia: storie e personaggi prima del Mille Cultura
Quante memorie ci sono intorno a questa chiesa dell’VIII secolo! Quanti uomini ha accolto nella sua straordinaria penombra. Intorno ad essa si sono mossi uomini eccezionali. Sono pochi i monumenti che ci testimoniano il periodo altomedievale e Santa Sofia ci giunge da quel lontanissimo passato, malgrado le trasformazioni e le perdite, bella come un gioiello.
Dopo i secoli bui delle invasioni germaniche, l’età carolingia, con l’affermazione dell’impero dei Franchi, produsse una civiltà di grande livello spirituale e artistico.
Di fronte all’avanzata di Carlo Magno, i Longobardi dovettero cedere le armi a Pavia, ma nel Sud d’Italia, Arechi II, duca di Benevento, forse anche in virtù della trascorsa parentela con Carlo - Arechi era stato suo cognato, infatti aveva sposato Adelperga, sorella di Ermengarda o Desiderata, la ripudiata moglie di Carlo - potè restare sul trono. La principessa Adelperga era una donna intelligente e colta. La sua inclinazione per gli studi fu valorizzata da un maestro eccezionale, Paolo Diacono. Per la sua nobile allieva, intorno al 750, Paolo scrisse una Storia romana, continuazione di quella di Eutropio, perché la fanciulla voleva conoscere gli avvenimenti successivi alla narrazione di questi, che giungeva solo fino al 364. Quando Adelperga andò sposa al nostro duca Arechi, volle con sé il maestro. Paolo poi da Benevento si spostò nel monastero di Montecassino.
In questi stessi anni, mentre accadevano tali cose, Arechi faceva costruire una chiesa che fosse vicina al Sacro Palazzo dove egli risiedeva e la faceva chiamare Santa Sofia, dal greco sophìa, la sapienza divina, lo stesso nome della cattedrale di Costantinopoli. Paolo dovette vedere completato lo splendido edificio, mentre era a Benevento. Dalla Siria o dalla Palestina giunsero a Benevento valenti artisti, che affrescarono le sue pareti con storie tratte dalla Bibbia e dal Vangelo. Ancora si possono vedere, nel catino absidale della chiesa, i volti di Zaccaria, reso muto dall’angelo fino alla nascita del figlio, il futuro San Giovanni Battista, e quelli di popolani stupiti dello strano miracolo.
Dopo la guerra con i Franchi e la sconfitta longobarda, un’altra sciagura colpì Paolo. Suo fratello, Arichis, rimasto nella loro terra d’origine, in Friuli, si ribellò ai Franchi. Fu preso prigioniero e portato nella capitale dei nemici Aquisgrana. Ed allora che fece Paolo? Partì anche lui e raggiunse il fratello. Si fermò per cinque anni alla corte di Carlo, il re nemico, che ammirava il famoso studioso longobardo. Qui, Paolo scrisse bellissime poesie al sovrano, pregandolo di voler liberare suo fratello, la cui moglie era ridotta a mendicare per strada. Fece amicizia con i grandi intellettuali di corte, il famoso Alcuino di York, il celebre Paolino di Aquileia, col quale ebbe vincoli d’amicizia e gli altri della Scuola Palatina. Da quel momento, seguendo l’esempio di Paolo, chi voleva rivolgersi all’imperatore doveva farlo per iscritto e in versi. Finalmente nel 786, Carlo liberò il fratello e concesse a Paolo di poter tornare nella sua amata Montecassino, dove egli poi scrisse il suo capolavoro, la Storia dei Longobardi.
Dopo il 774, Arechi, non avendo più un re longobardo a cui fare riferimento, si autoproclamò principe e volle rendere la città di Benevento degna del nome di capitale del suo stato. La chiesa di Santa Sofia non era solo la cappella personale del principe, ma vero santuario nazionale della gente longobarda. Perciò Arechi procurò per lei importanti reliquie di santi.
Col passare dei secoli, Santa Sofia divenne una potentissima abbazia, i cui possedimenti erano assai vasti. Dopo un disastroso terremoto, l’abate Giovanni IV, fece ricostruire il chiostro annesso alla chiesa in forme splendide ed esso fu un prezioso completamento del centro abbaziale. Ai nostri giorni, il complesso monumentale di Santa Sofia ospita anche il Museo del Sannio. La nostra memoria di città e di beneventani è tutta compresa in questo prezioso scrigno. L’impegno del sindaco, Fausto Pepe e del vicesindaco, Raffaele Del Vecchio, ha portato buoni frutti, il riconoscimento di Santa Sofia come patrimonio dell’Umanità, sotto protezione dell’UNESCO.
L’UNESCO però dovrebbe proteggere Santa Sofia in primo luogo dai Beneventani: ci pensino bene le mamme che portano i loro pargoli a scaricare l’energia compressa a Piazza Matteotti o Santa Sofia, come è più nota. Mentre sono sedute sulle panchine, i ragazzini trasformano la piazza storica in un improvvisato campo di calcio, non esitando a vedere nel portale della chiesa la rete dove segnare, magari un calcio più potente, ben assestato sulla lunetta vale doppio.
PAOLA CARUSO