Sporcizia incipriata Cultura

L’unica area urbana di Benevento in cui non si vede neppure l’ombra di un turista è quella in cui ha sede l’Ente Provinciale per il Turismo. Siamo fuori dal centro storico, non ci sono monumenti, la cosa non sorprende. Tanti però arrivano da oltre le mura, perché vi sono concentrati Tribunale, Questura e Polizia di Stato, Uffici di Ministeri e della Provincia, Automobile Club d’Italia, Croce Rossa, Cliniche, Banche, Associazioni di Volontariato, studi professionali. Ragazzi, ragazze, bambini trovano qui per la loro formazione Università, Licei, Scuole Medie ed Elementari, impianti sportivi. I nomi delle strade invitano alla cultura, dedicate a Luigi Vanvitelli, Giosuè Carducci, Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello, Nicola Calandra, Antonio Mellusi, Francesco Flora, Nicola Sala, Enzo Marmorale, Nicola Giustiniani, Salvator Rosa. E cultura di origine antica è la sporcizia incipriata diffusa in quest’area più che altrove, tra alberi e cespugli che colorano di verde umido cartoni da pizza maleodoranti, bollini e tagliandi di grattaevinci, tra aiuole che decorano fazzoletti da naso usati, giornali salvasedere volati via dalle panchine… La sporcizia incipriata, per chi non lo sapesse, prodotta da persone ignare di cultura, è un patrimonio antico ma attualissimo per educare i giovani a cambiare il mondo.

Nel Seicento, camminando per Benevento, una melma sottile colava dalle case, entrava nelle scarpe. Pratica la protezione suggerita da un turista dai lunghi capelli ricci venuto da Roma, l’abate Giovan Battista Pacichelli (foto): “ciò che più spicca di dentro alle vie di Benevento non troppo maestose, anzi lorde, è che conviene usarvi piccioli zoccoli”. Nessuno ci aveva pensato, eppure nelle case non c’erano acqua e servizi igienici connessi alle fognature, e gli zoccoli non costavano granché. La gente gettava rifiuti da porte e finestre senza farsene un dramma, era uno dei pochi divertimenti di una vita di melma. Correva il 1685, zoccoli agli uomini raccomandava perciò Pacichelli e un mazzolin di fiori alle signore per difendere il naso dai fetori. Soluzione più raffinata escogitò invece in quello stesso secolo la nobiltà parigina: non sprecare acqua e sapone, non lavarsi più, ma avvolgere il corpo in ciprie, parrucche, profumi. Da quella soluzione sembra sia scaturita la consuetudine beneventana di imbellettare la sporcizia con erbe e fiori. Ricercando, studiando, scopro così l’origine di quell’impulso estetico che le dame di Francia chiamavano coquetterie, uno sfizio molto femminile, pari a quello maschile odierno di sputare di lato il chewingum, di schizzar cicche di sigarette con pollice e medio verso i tombini.

Vincenzo Maria Orsini, restio a starsene seduto nel palazzo arcivescovile, dopo aver ricostruito la città devastata da due terremoti analizzò casa per casa le astuzie escogitate per liberarsi dai rifiuti. Provò a contrastarle ristampando nel 1717 gli Statuti concessi da papa Sisto V nel 1588, pieni di sanzioni pecuniarie, perfino con inviti alla delazione: cittadini attenzione, chi denuncia verrà compensato con la quarta parte della multa! Ma purtroppo quelle norme erano in lingua latina. Il novantacinque per cento dei beneventani era analfabeta, l’occasione di arricchirsi fu persa. Benevento restò una città di viuzze sporche, come riferì al turismo internazionale Craufurd Tait Ramage, studioso d’arte arrivato nel 1828 dalla Scozia al solito richiamo dell’Arco di Traiano, allora trattato da porta urbica, oggi isolato su un prato che abbellisce bicchieri, posate, piatti monouso. Qualche anno dopo, nel 1832, la scrittrice britannica Mariana Starke confermava disgustata l’assenza di sporcizia incipriata: “Benevento sorge in una località incantevole, ma le sue strade sono sudice”.

Traduco dal latino qualcuna delle citate antiche norme per la corretta nettezza urbana, o piuttosto mentale. Regalano al lettore lo scenario finora sconosciuto delle origini storiche della sporcizia incipriata, eredità gelosamente custodita nel quartiere-gioiello dalla Benevento moderna.

Statuti. Libro Primo, Capitolo 20. Siano tenute pulite le strade pubbliche della Città e delle periferie per ragioni di civiltà e salubrità dell’aria.

Capitolo 21. Dall’inizio del mese di maggio fino a tutto settembre ogni sabato chiunque, dovunque abiti, è tenuto a pulire la strada davanti alla sua casa fino alla metà. Multa di cinque grani per i trasgressori.

Capitolo 22. Ognuno può gettare immondizie davanti casa sua, nelle piazze e nelle vie soltanto quando piove e l’acqua scorre in quantità tale che se le porta via. Multa di un carlino per i trasgressori.

Capitolo 23. Nessuno deve gettare, in città o nei fossi fuori le mura, cavalli e asini morti o altri animali grossi o parti di essi, ma deve portarli ai luoghi destinati alle immondizie. Multa di un augustale. Il cittadino perbene che denunzia ne avrà la quarta parte.

Capitolo 24. Dal primo di giugno fino a tutto il mese di settembre nessuno deve tenere porci all’interno della Città durante il giorno, ma deve portarseli via appena è mattina e non permettere che tornino fino al tramonto del sole, a meno che non se li tenga in casa. Di notte può tenerne fuori casa uno o al massimo due. Il trasgressore denunziato dovrà pagare cinque grani per ogni porco.

Capitolo 25. Nessuno deve gettare, dalla finestra o da altro posto, acqua sporca e immondizie nelle vie pubbliche né tenere canali di scolo da cui finiscano sulle vie pubbliche sporcizie varie, ma soltanto acqua pulita. Multa di cinque grani per i trasgressori. Se avrà sporcato o danneggiato un passante, l’abitante della casa dovrà risercire il danno e, se l’offeso sporgerà denunzia, venga punito con multa di un carlino.

Capitolo 26. Nessuno osi gettare immondizie o sporcizie fetide nelle strade e nei luoghi pubblici: il trasgressore pagherà una multa di dieci grani e dovrà pulire tutto. Parimenti, nessuno osi liberare il ventre davanti alla casa di qualcuno, altrimenti dovrà pulire e pagare cinque grani di multa, e per i bambini e le bambine sporcaccioni saranno tenuti a pagare il padre e la madre, e se non saranno rintracciati dovranno pulire i vicini che non avranno già provveduto al decoro: i renitenti paghino la stessa multa. Ne saranno tuttavia esentati coloro che avranno pulito la sporcizia dell’incontinente.

Capitolo 28. Ai barbieri è vietato tenere recipienti con sangue all’esterno della bottega nelle vie e nei luoghi pubblici vicini o gettarvi i peli. Dovranno tenerli dentro, sotto banchi nascosti in modo che chi entra non li veda, fino a quando non avranno modo di gettarli. Il trasgressore sarà punito con multa di un carlino. Ogni proprietario è tenuto a fare una latrina per raccogliere le immondizie del corpo, sotto pena di un’oncia… la quarta parte al denunciante.

ELIO GALASSO