A rischio la sopravvivenza dei centri storici In primo piano

Manipolando in modo furtivo e incoerente una legge, attraverso aggiunte sottrazioni di parti di testi, si producono spesso degli effetti disastrosi. Ciò è avvenuto per le modifiche alla legge regionale n.19 del 28 dicembre 2009, operate con la prima legge del 2011, appunto la numero 1, andata subito sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania..

Questa legge è uno tsunami sulla pianificazione in regione Campania. La ricostruzione delle modalità con cui si è pervenuti alla formulazione finale spiegano la qualità del risultato.

Il programma elettorale del candidato alla presidenza della Regione Campania Stefano Caldoro era severo rispetto alla formulazione del Piano Casa approvato, con il voto favorevole del suo partito, dalla amministrazione guidata da Antonio Bassolino.

Appena eletto, il nuovo Consiglio Regionale della Campania si mise all’opera e furono presentate tre proposte di legge ed un disegno di legge, tutti ad opere di esponenti della maggioranza. Per trovare un filo conduttore la IV Commissione Consiliare decise di aprire la discussione ammettendo la raccolta di emendamenti rispetto al testo del disegno di legge elaborato dalla Giunta Regionale. Sono pervenuti 375 emendamenti di cui l’80% ad opera di esponenti della maggioranza consiliare. In poche sedute tra ritiri e rigetti delle proposte la commissione ha elaborato un nuovo testo di modifica della legge n.19/09. Il consiglio regionale con un percorso accelerato è pervenuto alla approvazione della legge n. 1/2001 che in parte modifica il testo proposto dalla commissione.

La legge n.19/2009 prima versione del Piano Casa escludeva la zone A (centri storici) dalla aree interessate dalla sua applicazione e quindi dalle deroghe agli strumenti urbanistici ammesse. Era uno dei punti fermi di quella formulazione che poteva anche sembrare eccessiva (le perimetrazioni dei Centri Storici, molto spesso, si sono dilatate eccessivamente fino a contenere edifici di recente fattura, e quel che è più evidente, non necessariamente meritevoli di tutela). Il principio anche giusto che il valore va tutelato nel suo contesto era diventato la giustificazione di un sistema vincolistico eccessivo e totalizzante. I rilievi alla pratica interpretazione di quell’ eccesso ha portato allo sbrodolamento del sistema.

Le modifiche apportate in Consiglio Regionale estendono le deroghe agli strumenti urbanistici in vigore per gli edifici nei centri storici “realizzati o ristrutturati negli ultimi cinquanta anni qualora non rientrino in altri casi di esclusione .

Quindi sugli edifici interni al perimetro dei centri storici ristrutturati negli ultimi 50 anni si applicano le deroghe degli articoli 4,5,e7 ammettendo ampliamenti e demolizioni con ricostruzioni di significativa entità. Gli effetti di queste deroghe non sono fenomeni trascurabili. Anzi possono stravolgerne contenuti e configurazione.

Il significato del termine ristrutturati e le modalità di individuare gli edifici che hanno nella loro evoluzione negli ultimi 50 anni tale caratteristica è complessa. Il risultato ottenuto dal processo di modifica non è certo di semplificazione

La ristrutturazione è quella tipologia di interventi compresi tra il restauro-risanamento conservativo e la manutenzione straordinaria. Trascuriamo la differenza con gli interventi di restauro e risanamento conservativo che riferendosi a pochi specifici immobili di cui è dichiarata la valenza storica rientrano in altri casi di esclusione della legge: cerchiamo i limiti sul fronte dei lavori che si possono definire di manutenzione.

Nel linguaggio comune ristrutturare un immobile ha un valore generico che fa riferimento a una azione di ri-sistemazione statica e funzionale e quindi estetica di un immobile. Distinguere un immobile che ha subito un intervento di manutenzione più o meno profondo da una solo ristrutturato è difficile. Il confine del termine ristrutturati nel linguaggio comune non è facilmente individuabile. Ma l’applicazione della legge lo esigerebbe. Negli ultimi cinquant’anni tutti gli immobili utilizzati per varie necessità hanno subito interventi di adeguamento.

Cerchiamo un altro modello facendo riferimento a quello riconducibile alla definizioni contenute nell’articolo 3 del DPR n. 380/2001 dal titolo: Definizioni degli interventi edilizi che interessa specificamente la categorie di lavoro possibili sugli immobili in ambienti storici. Neanche questo riferimento chiarisce e/o semplifica la applicazione della legge.

Non siamo in presenza di un conflitto tra chi accetta la tecnica delle sanatorie e chi invoca più rispetto del rigore delle norme. C’è qualcosa di più profondo che a mio avviso deve scuotere le “anime belle” se ce ne sono ancora in circolo. Penso che sia a rischio la sopravvivenza dei Centri Storici.

Se poi si affronta il tema della collocazione temporale dell’intervento negli ultimi 50 anni la nebbia si fa ancor più fitta. Bisognerà distinguere tra edifici realizzati o ricostruiti precedentemente al 1961 da quelli successivi al 1962. Il dispositivo normativo non definisce se gli interventi di ristrutturazione debbano essere stati autorizzati, iniziati, conclusi e/o abitati entro i 50 anni ultimi. Se le conseguenze fossero trascurabili si potrebbe accettare in linea teorica uno spartiacque così labile. La differenza che si genera con la individuazione della data è rilevante per la valutazione di applicabilità di deroghe significative e stravolgenti nei Centri storici; pertanto un limite cosi indecifrabile diventa pericoloso. Chi l’ha posto non ha il senso della gravità della norma e ancor meno della difficoltà di applicarla con ragionevole sensatezza e rigore.

Qualcuno dirà che tali ammissioni sono state sperimentate in altre regioni e non hanno destato stravolgimenti. Una lettura attenta dei dispositivi del piano casa delle regioni Sardegna e Lombardia evidenzia l’imprudenza del legislatore Campano.

La legge 23 ottobre 2009, n. 4 della Regione Sardegna e la legge 16 luglio 2009, n. n. 13 della Regione Lombardia (gemelle del Piano Casa Campano) contengono delle differenze fondamentali nella scelta di immobili non omogenei con il contesto, nella qualità degli interventi e dei percorsi di selezione.

Questi due esempi rispondono pure alle osservazioni di chi, magari affascinato da esempi come il Centre Pompidou a Parigi, invoca maggiore innovazione di “qualità” nei Centri storici.

Questo è un tema importante ma la formulazione della modifica della legge non lo risolve in modo positivo. Chissà se in Lombardia e Sardegna assisteremo alla nascita di musei delle arti di qualità. In regione Campania neanche tale speranza è giustificata.

A Benevento, dove il Piano di Recupero del Centro Storico (di Rossi-Zeviana memoria) pur sosteneva (vedi Piazza Duomo) innovazioni “rivoluzionarie” in tema di ristrutturazioni di parti del Centro Storico non ha prodotto i risultati auspicabili. Figuriamoci con il nuovo testo del Piano Casa. Ma non poniamo limiti alle antitesi della saggezza e direi alla provvidenza. Chissà……..

COSIMO BOFFA

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