Antonio Pietrantonio, ovvero l'arte di far politica In primo piano

Sto leggendo il libro di Mario Pedicini, “Antonio Pietrantonio. Il sindaco dei record”, edito da Realtà Sannita. Non è solo un gradevole libro-intervista, ma un vero e proprio manuale di arte politica. Tanto, da poter essere consigliato nelle scuole superiori e anche in quelle di teoria e pratica politica. Da distribuire per un’attenta lettura tra amministratori e impiegati amministrativi. Da centellinare per bene, più di mille convegni o corsi di formazione politica. Perché ad Antonio Pietrantonio, sindaco della città di Benevento dal 1982 al 1992, appartengono non solo le realizzazioni più importanti e storiche di cui il capoluogo sannita possa fregiarsi, ma un vero e proprio stile, che proietta il personaggio non solo nella storia, ma addirittura nella leggenda.

A Pietrantonio si devono conquiste importantissime. È lui che ha inaugurato il Conservatorio, lui che ha creato la Scuola Allievi Carabinieri (finita durante un’altra e diversa stagione politica), lui che ha visto nascere l’Università degli Studi del Sannio, lui che ha portato l’Istituto Alberghiero a Benevento, lui che ha inaugurato l’Hortus Conclusus, il monumento a Papa Orsini, i lavori per il Palazzo di Giustizia, l’Auditorium San Nicola ed il Palazzo De Simone. è lui il padre fondatore della gloriosa rassegna “Città Spettacolo”, a cui Mario Pedicini dedica un capitolo insolitamente più lungo degli altri. E non solo perché con Pietrantonio a Benevento è arrivato davvero il gotha della cultura e dell’arte italiana ed estera (basta scorrere le pagine 127-154 del libro per leggerne i nomi), non anche perché la rassegna ha fatto da apripista all’arrivo dell’Università a Benevento, e non solo per l’eccelsa capacità del sindaco di intercettare favolosi finanziamenti per dare vita ai suoi progetti. Ma anche perché, sottolinea Mario Pedicini, il lettore deve sapere cosa è stata la vera Città Spettacolo ed i giovani devono conoscere la differenza tra quella e “lo scadimento e il tradimento ultimo con le canzonette”.

Figlio di quella generazione di beneventani che hanno vissuto la seconda guerra mondiale e la successiva fame, Antonio Pietrantonio viene allevato dalla madre vedova, tra grandi difficoltà. La sua è una famiglia numerosa e tutti i fratelli devono darsi da fare con qualche lavoro per ragioni di sussistenza. Ed è veramente commovente leggere di mamma Maria che va, timorosa e ansiosa, dal maestro elementare che l’ha mandata a chiamare (pp. 42-43) e quando questi le dice (in dialetto beneventano), che suo figlio Antonio ha una gran bella testa e che deve assolutamente proseguire negli studi, a costo di grandi sacrifici, lei, una donna semianalfabeta e senza cultura politica, ma di immensa dignità, gli stringe forte la mano mentre due lacrime le solcano il viso. Scene d’altri tempi e di un altro modo di intendere la scuola e il rispetto verso gli insegnanti.

Pietrantonio ha fatto la fame e lo ribadisce nella sua intervista, ma da adulto ha avuto modo e di viaggiare in tutto il mondo. “Solo chi ha viaggiato molto può rendersi conto di che cosa sia Benevento”, egli dice ad un certo punto della sua intervista.

Ma perché ho detto che il libro di Pedicini mi sembra un manuale di arte politica tratta dall’esperienza viva di un grande politico? Perché ci sono dei motivi che spiegano tanta ricchezza umana e tanta grandezza politica. Uno l’ho già illustrato, ed è il valore del sacrificio che è appartenuto a quelli della generazione di Pietrantonio. Un altro motivo è il valore che lui e molti suoi amici, divenuti professionisti di livello, hanno dato allo studio, come strumento di affermazione sociale.

Inoltre, in tutta l’intervista, Pietrantonio mette sempre avanti Benevento, mai la sua persona. In tutto il testo, non c’è mai una sola parola di autocelebrazione, secondo uno stile oggi molto in voga tra i politici di piccolo e medio cabotaggio.

C’è, invece, uno straripante amore per la città, che nei suoi sogni, doveva diventare una città stimata e considerata a livello nazionale e, perché no, internazionale.

Inoltre, c’è un considerevole amore per la bellezza e per l’arte, in tutte le sue forme ed espressioni. Un amore per tutto ciò che è immaginazione e sentimento, forse a causa del fatto che Pietrantonio in gioventù aveva vissuto tanta durezza e tanto disincanto. Questo amore, ai suoi tempi, non sempre era capito… Ma Pietrantonio, invece, aveva capito che proprio nei suoi “giacimenti culturali” Benevento avrebbe dovuto pescare, per dare la svolta decisiva a quello che era e farsi conoscere in tutto il mondo.

C’è la proprietà di linguaggio, la concretezza e la misura che è un habitus mentale e che appartiene a persone di vera cultura. Laddove, oggi, siamo abituati a amenità, scurrilità varie e populismi tesi ad eccitare le emozioni più negative delle persone, a parlare alla loro pancia, più che alla loro ragione.

C’è la capacità di valutare chi si ha di fronte, che è un’arte non da poco, che si affina con molta osservazione e con il molto aver vissuto.

C’è stile e gentilezza, il non esagerare mai.

C’è, infine, una vera, e grande, visione politica.

È per questi motivi che Antonio Pietrantonio è già entrato nella storia, laddove politici senza i suoi record, spesso, si illudono di averla fatta, la storia.

LUCIA GANGALE