Aspettando Natale. La giornata dell'avvocato Mascambruno In primo piano

Tipica mattinata di dicembre beneventano.

Nebbia fitta che rende impalpabile i contorni delle case. Si intravede a mala pena la Rocca dei Rettori ed il giardino della Provincia.

L’avvocato Mascambruno, distolto lo sguardo dalla finestra sulla piazza, indossa il cappotto pied de poule e l’immancabile sciarpa blu; esce di casa, immerso nei suoi pensieri, ed a passo svelto percorre il Corso Garibaldi diretto allo studio.

Il freddo umido entra nelle ossa.

Breve sosta dal giornalaio, caffè al solito bar, ed eccolo al posto di comando, seduto alla scrivania traboccante di fascicoli.

Ordinari casi di straordinaria miseria umana.

La moglie che vuole farla pagare al marito, impenitente traditore. Il socio che non si fida più dell’amministratore. I fratelli, che tanto bene si erano voluti, ed ora riversano il sentimento sul ricordo concreto dei genitori: l’eredità. La solita noiosa routine.

L’umanità in tutta la sua poliforme miseria.

Si immerge nella lettura degli atti. Man mano che la lettura avanza la nebbia comincia a diradarsi, lasciando trasparire un timido sole ed affiorare un mondo prima sommerso.

Le case, gli alberi, le strade, il correre veloce delle auto e delle persone, prendono corpo.

Guarda l’orologio. Sono le 8,30. E’ ora di organizzare le udienze della mattinata. Chiama i colleghi, nel frattempo arrivati in studio, e divide fra loro le cause del giorno, dando velocemente le istruzioni.

Poi ognuno riprende la precedente attività. Verso le 9,30 si recheranno in Tribunale.

In una piccola città del sud gli orari di lavoro sono elastici; non prima delle 10,00 iniziano le udienze civili, la loro trattazione è una “lenta lavorazione”.

Il tempo si dilata come molla in una calma apparente che rasenta l’immobilismo.

E’ inutile affannarsi; tanto vale adeguarsi al consolidato stile di vita.

Le udienze scivolano via amorfe fra le richieste degli avvocati ed i rinvii dei giudici. Perché decidere oggi quello che può essere deciso (da altri) domani?

Pausa pranzo in trattoria con un piatto caldo di cardone, un bicchiere di aglianico, un beneaugurante torrone ed un goccio di Strega, tanto per rispettare la tradizione.

Poi di nuovo a ricevere i clienti che, come la cantata dei pastori, giungono con doni natalizi ed angosce, volendo scambiare i primi con l’agognato onorario e scrollare le seconde, come in una seduta terapeutica, sulle sue spalle.

Dopo estenuanti colloqui, spiegazioni, riflessioni, digressioni con i clienti-serpenti, la preparazione di atti giudiziari, finalmente è ora di chiudere lo studio (è sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad uscire) e di incamminarsi per la strada di casa.

Finalmente Benevento gli appare una città diversa.

Le luci del Corso Garibaldi ed i suoni delle zampogne riscaldano l’anima, ritornano in mente i ricordi di bambino, il presepe progettato almeno un mese prima, sempre uguale e sempre diverso, ma - come per incanto - più bello dell’anno precedente.

Una strana sensazione di benessere lo pervade.

E’ il periodo dell’avvento.

Ci si prepara al Santo Natale, il secondo dell’epoca Covid.

Andrà tutto bene? Non lo sa.

Sa, però, che sarà ancora un Natale insieme ai propri cari, il piccolo grande miracolo si ripeterà. Si commuove e si perde nei rivoli dei propri sentimenti.

D’un tratto gli appare la stella luminosa sulla Rocca dei Rettori, come faro all’ingresso di un porto sicuro.

E’ arrivato a casa.

Sale di corsa le scale, si spoglia dei pensieri, guarda il presepe ed esclama:

Lucariè, te piace o presepio.

Ed è finalmente il Natale dell’anima.

UGO CAMPESE