E' arrivata la bufera In primo piano

Come un temporale estivo, inaspettato e violento, il 21 luglio scorso il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha rassegnato le dimissioni ed il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sciolto le Camere.

Come cantava Pino Daniele “quanno chiove l’acqua te ‘nfonne e va, tanto l’aria s’adda cagna’”.

L’improvviso acquazzone estivo ha squarciato il cielo azzurro dei parlamentari che aspiravano alla fine di una sonnacchiosa legislatura emergenziale.

Mentre si diffonde il panico, specialmente tra i pentastellati graziati dal voto di protesta, e si assiste al classico gioco tutto italiano del tiro al rimpallo delle responsabilità, per uno strano scherzo del destino mi è ritornata in mente una simpatica canzoncina che da bambino ho assimilato nelle serate passate davanti alla televisione con i miei genitori.

Canzone ironica di un grandissimo artista dimenticato, come la maggior parte degli italiani di talento, quale è stato Renato Rascel, dal titolo “E’ arrivata la bufera.” (che vi consiglio di ascoltare su YouTube).

“… L’acqua scende e bagna tutti, quelli belli e quelli brutti, sia i grandi che i piccini, metà prezzo ai militar”

con l’indimenticabile ritornello

E’ arrivata la bufera, è arrivato il temporale, chi sta bene e chi sta male e chi sta come gli par”.

Mentre infuria la bufera elettorale le nostre istituzioni continuano a lavorare alacremente per il bene dell’Italia.

Così mi è capitato sotto gli occhi il resoconto stenografico della seduta del Senato della Repubblica numero 456 del 27 luglio 2022.

Pensate, nemmeno una settimana dopo le dimissioni del Presidente del Consiglio, il senatore Alessandra Maiorino dei Cinque Stelle ha presentato un emendamento per introdurre nel Regolamento del Senato una modifica del linguaggio che includa le donne “esplicitandole e non omettendole”.

Nel suo intervento ha scomodato Eraclito, Platone, Aristotele, Epicuro, Cicerone, (che, purtroppo essendo defunti da tempo, non hanno potuto replicare).

Ha raggiunto l’apice affermando che “Il Regolamento del Senato della Repubblica è figlio di un periodo in cui le donne erano una presenza sporadica ed eccezionale all’interno delle istituzioni e della rappresentazione democratica. Oggi non è più così e questo cambiamento dev’essere accolto e sostenuto anche dal linguaggio del Regolamento. Bene dunque, che si sia stati in grado di cogliere quest’occasione di modifica per aggiornare anche il linguaggio, che includa le donne, esplicitandole e non omettendole. Badate: so bene che non tutti sono d’accordo e che vi sono donne che preferiscono essere chiamate “il presidente”, “il direttore” o “il segretario”, ma potranno continuarlo a farlo. E’ la scelta che manca oggi, perché il Regolamento contempla solo il maschile”.

Per concludere:

Laddove esiste la scelta, c’è democrazia: laddove il 52 per cento della popolazione è espresso e rappresentato, c’è democrazia. Siamo orgogliosi di lasciare a chi verrà dopo di noi un Regolamento rispettoso della rappresentanza democratica e della mutata sensibilità contemporanea, soprattutto di quella delle nuove generazioni”.

Accorata frase che, credo, nemmeno Garibaldi ha pronunziato a Vittorio Emanuele II nell’incontro di Teano.

L’emendamento (per fortuna o purtroppo, fate voi) non è stato approvato.

Mentre, dopo la caduta del governo, il Titanic Italia rischia la collisione con l’iceberg economico e sociale, il Senato della Repubblica ha discusso se nel proprio Regolamento dovesse introdursi il termine “la Presidente”, con buona pace della lingua italiana, di Dante, di Petrarca e di Manzoni, incolpevolmente dimenticati nel pregevole intervento del senatore Maiorino.

Secondo questa rivoluzione linguistica copernicana, ad esempio, la guardia e la guida, per pari opportunità dovrebbero, trasformarsi al maschile in il guardio ed il guido. Senza considerare poi la declinazione gender, prossima frontiera della democrazia grammaticale.

L’unica cosa che era rimasta all’Italia era la lingua del dolce stil novo, invidiataci dagli studiosi di tutto il mondo, ma, grazie ad un senatore della Repubblica, abbiano scoperto che è una lingua sessista e non inclusiva delle donne.

Spero non se ne parli più nella prossima legislatura, essendovi problemi seri ed urgenti da affrontare.

Senza considerare che il termine singolare femminile “la persona” è quello che esprime meglio l’essere umano senza qualificarlo uomo o donna.

E nessuno, per quanto è a mia conoscenza, si è mai sognato di imbarcarsi in una crociata linguistica per declinarlo anche al maschile.

E’ un termine puro, cristallino, non sporcato da questioni di genere o da riflessi condizionati.

E’ semplicemente onnicomprensivo.

Perciò, aspettiamo il 25 settembre perché … “E’ arrivata la bufera, è arrivato il temporale, chi sta bene e chi sta male e chi sta come gli par”.

UGO CAMPESE