E' tempo di osare In primo piano
E’ tempo di angosce ed euforie. Il Covid non allenta la morsa e qui da noi, ma anche in parti del mondo verso le quali siamo propensi a sentimenti di invidia, pare che si stia varcando il confine della ragionevolezza. Manifestazioni ideologiche contro la dura realtà della malattia e della morte finiranno sui libri di storia, senza che un Alessandro Manzoni sia alle porte per umanizzarle.
C’è, però, anche una ventata di euforia per le quantità insolite di risorse finanziarie messe a disposizione di un vasto mercato, quale quello della Unione Europea.
Mentre per il Covid la fiducia è riposta nella scienza e nella tecnologia, per i miliardi di euro che potranno spostarsi anche nelle nostre regioni un ruolo importante spetta certo ai tecnici e ai politici, ma su questo terreno devono scendere validamente in campo le sensibilità sociali e individuali. Che cosa desideriamo per il dopo-Covid, quali i bisogni immaginati da soddisfare è un impegno di ciascuno di noi. Alla politica, che mai come adesso è priva di strutture funzionali proprie e anche di veri centri-studio, deve arrivare dalla base la sollecitazione fatta di sentimenti ma soprattutto di studi, proposte, riflessioni.
A prescindere da quanti soldi saranno effettivamente disponibili, dobbiamo ripensare ai contenuti che dovranno produrre le articolazioni della macchina pubblica per favorire la ripresa economica e sociale.
Una profonda riflessione sulla vastità della crisi che l’Italia sta attraversando da trent’anni ci potrà condurre ad immaginare una via d’scita. Dopo la monarchia e dopo la democrazia, quale sarà il modello del governo dei popoli? C’è però un presente che va letto ed interpretato per impedire un collasso della civiltà. Non servono i pannicelli caldi, servono coraggiose sterzate per imboccare una strada nuova, che non sia uno strappo con la continuità.
Anche per le questioni di un quotidiano che vada oltre la cerchia familiare è necessario agire avendo di mira un orizzonte vasto. Gli amministratori locali hanno in mano una carta formidabile da giocare. Benevento può riacquistare quel ruolo che la storia le ha riconosciuto per alcuni millenni, e sono i cittadini consapevoli e i politici coscienti che devono annusare l’aria e cogliere le opportunità. Benevento, nodo delle comunicazioni e dei traffici tra sponde lontane, può immaginare il ripristino e l’aggiornamento di strutture capaci di soddisfare nei tempi della tecnologia più raffinata e globale questo ruolo. La fame di cultura, la disponibilità a viaggiare, l’allargarsi delle relazioni infra-umane tutto questo può giocare un ruolo per “ricentralizzare” questa terra e liberarla dall’abbandono.
Ecco allora la possibilità e il dovere di immaginare una rete di infrastrutture idonee alla mobilità umana e alla mobilità delle merci e delle “reti”. Con le nuove risorse energetiche (in primis l’idrogeno) hanno a che fare tutti i mezzi di trasporto, non solo le automobili. Del resto l’Italia è stata tra le nazioni che più di tutte hanno utilizzato l’energia elettrica per far correre i treni. L’idrogeno serve anche ai treni, non solo alle automobili e alle navi. La condizione strategica di Benevento al centro dei quattro punti cardinali di Europa e Africa esige che le popolazioni e gli amministratori si impegnino a ragionare in grande per un asse ferroviario ad alta tecnologia tra Salerno e Ancona, oltre che tra Napoli (e Roma) con Bari e Brindisi. Il territorio appenninico, lungi dal doversi catalogare nell’osso di venerata memoria di Manlio Rossi Doria, dovrà diventare la nuova polpa del sapere attrezzando fattorie e insediamenti umani capaci di svuotare le improduttive conurbazioni dei grandi agglomerati.
Tutto quanto sarà possibile immaginare deve avere, però, la garanzia di un sapere e di un saper essere. In questa prospettiva, a cominciare dalle famiglie, bisogna chiedere alla scuola di riassaporare il piacere della guida degli spiriti verso nuove ambizioni. Messa da parte come una missione compiuta l’alfabetizzazione di massa, occorre ripartire puntando sulle eccellenze. E’ paradossale che le eccellenze delle nostre terre trovino terreno fertile in altre nazioni e in altri continenti perché le scuole si limitano a funzioni di diplomificio e rinunciano ad un accompagnamento orientativo più rigoroso. Se settanta anni fa la grande riforma della scuola dell’obbligo è stata la scelta vincente di un paese povero e analfabeta, dal 2021 al 2030 sarà il decennio della elevazione di quel segmento appassito della scuola media e secondaria. La stessa università si è disgraziatamente abbassata per poter imbarcare i troppi mediocri della massa scolarizzata, facendo fuggire i più brillanti nostri studenti che hanno fatto la fortuna di Milano e Bologna per tacere delle università europee e asiatiche o nordamericane.
I Vescovi dei nostri territori hanno preso a studiare il da farsi. E si rivolgono apertamente al mondo politico sottolineandone con ciò l’attuale inadeguatezza. Noi non siamo tra quelli che si fregano le mani perché così i politici possono aspettare i documenti prelatizi per farsi belli e andare in cerca di voti. Noi pensiamo che la scesa in campo dei vescovi certifica un fallimento ed esige dagli altri (tutti gli altri) uno scatto di responsabilità.
Altro che cortei di storditi che alzano cartelli di un qualunquismo ignorante. Servono momenti di studio e di riflessioni profonde. Ci aspettiamo qualcosa dalle istituzioni amministrative appena rinnovate.
MARIO PEDICINI