I giovani sono entrati nei palazzi del potere... Un po' più di preparazione non guasterebbe In primo piano

Più guardi l’attuale “quadro politico” e più una domanda ti viene spontanea: “Ma che quadro è?”. Nell’arte pittorica c’è stato il Cubismo con Picasso, eppoi il Dadaismo, il Neoplasticismo, il Realismo e via proseguendo. Tutta roba, “arte” per meglio dire, i cui tratti caratteristici vengono compresi anche dai non addetti ai lavori. Li ammiri quei capolavori, ci rifletti un po’ su, al limite ti fai aiutare da una guida e alla fine comprendi quelle opere d’arte, quei colori che ti emozionano, che in certi casi sembrano buttati a casaccio sulla tela, ma così non è quando guardi l’insieme. Tutto ha un senso nelle opere pittoriche elaborate dai grandi maestri. I pennelli, le spatole hanno avuto il compito di portare sulla tela i colori secondo il pensiero dell’artista, non a casaccio, ma seguendo un senso estetico, rincorrendo passioni, emozioni, sentimenti che riesci a cogliere quando li ammiri.

Forse il paragone che sto tentando di fare tra l’arte e la politica è di quelli azzardati, ma non sempre arrischiarsi in certe congetture è sbagliato, anzi a volte si riescono a scoprire, a far esplodere situazioni consolidate, ad analizzarle sotto altri aspetti. Insomma, a vederli e valutarli in modo diverso, non stereotipato, può risultare molto positivo.

Un pensiero, un’idea, una sensazione l’artista la deve tenere ben presente in testa quando vuole creare un’opera d’arte. Certo, può provare a lanciare sulla tela in modo diffuso una miriade di colori che per combinazione possono fare pure effetto, dare l’impressione di una costruzione artistica elegante, fatta da colori mescolatisi tra loro che ispirano pensieri, sentimenti più vari. Ma, comunque, è improvvisazione che nella maggior parte dei casi non è armoniosa, non è artistica. È un pasticcio di colori che dicono poco o niente.

Una caterva di parole i politici non dovrebbero proporle agli elettori. Una raffica di promesse, anche quando non si è più in campagna elettorale, che delegittima la classe politica. Bisognerebbe prima “fare”, quando si è al governo, eppoi “raccontare” quello che si è fatto. Quando si è all’opposizione, invece, essere sempre realisti senza sparare progetti impossibili da realizzare.

L’attuale modo di fare politica allontana da essa tanta bella gente. Uno dei problemi seri che ha il nostro Paese, forse tra i più importanti, è la mancanza di un serio ricambio all’attuale classe dirigente. C ‘è poi la cosa più terribile da registrare. Se chiedi in giro giudizi sulla politica e sui suoi uomini la risposta è quasi univoca: “tutti interessati ai fatti propri”. Insomma, un’immagine completamente inversa a quella che la “politica” deve essere: servizio agli altri, lavoro per il bene comune. E la ricompensa per l’impegno profuso dovrebbe venire unicamente dalla soddisfazione per le cose realizzate a favore degli “altri”. Una missione, insomma, che si ripaga alla grande per il ruolo che ricopri in Parlamento o al Comune o al partito o dove svolgi il tuo compito di politico. Utopie quelle testé riportate? Certo, a vedere in azione certi uomini pubblici impegnati soprattutto a tutelare i propri interessi parrebbe proprio di sì. Ma guai a fare di tutt’erba un fascio. Ci sono fior di gentiluomini che sacrificano la loro vita, facendo politica, per gli altri. Purtroppo il “bene”, nella maggior parte dei casi, non fa notizia. Nel giornalismo, e non solo, quello che prevale - e va sempre riportato in bell’evidenza - sono tre parole magiche - si fa per dire - che cominciano per “esse”: sangue, sesso, soldi. No, la solidarietà, che comincia pure per esse, è un’altra cosa, non c’entra.

Come avvicinare i giovani alla politica?

Una volta c’erano dei focolai dove naturalmente si creavano percorsi che portavano i giovani a impegnarsi nel “sociale”. L’Azione Cattolica, i Boy scout, gli oratori in campo cattolico. In altri campi c’erano le scuole dei partiti che avviavano i giovani alla politica. No, non ricoprivi ruoli pubblici senza aver fatto prima una bella e tosta “gavetta”. Non è facile oggi far avvicinare i giovani alla politica. Troppe distrazioni, chiamiamole così, nei loro percorsi di vita.

Bisognerebbe tornare al passato. Puntare sui rapporti personali, sulle scuole di formazione alla politica. Sui gruppi di studio e via proseguendo. Una delle accuse che una volta veniva rivolta ai partiti era quella di non puntare sui giovani, di mandare in Parlamento solo matusalemme. Oggi i giovani sono entrati nei palazzi del potere. Un po’ più di preparazione non guasterebbe.

ELIA FIORILLO