Il sistema si divora In primo piano

Oramai molti anni fa Giuseppe Davanzo scrisse che la magistratura si sarebbe autodivorata. I fatti recenti oggi alla attenzione della procura di Perugia, la confusione elettorale prodotta da una legge che voleva, scioccamente, battere le correnti invece del clientelismo correntizio e che sta favorendo le lobbies, il ruolo del Consiglio Superiore sempre più episodico e lontano dalla consapevolezza di rappresentare un riferimento per tutto il Paese, la perdita da parte dei magistrati di ogni stile nelle loro polemiche, sembrano dare ragione a quel presagio. Credo tuttavia che tutto il sistema costituzionale, prima della magistratura, abbia iniziato a cannibalizzarsi.

Con mani pulite, da oltre venticinque anni, cadde l’immunità parlamentare. Le sopravvive oggi la autorizzazione alla cattura. Resto fortissimamente dell’opinione che la cattura di un parlamentare deve essere evitata. Vi è già nel provvedimento del giudice tutto ciò che rileva perchè il Paese e la politica possano decidere l’atteggiamento da tenere verso l’imputato. La cattura, invece, interviene direttamente sulla composizione del Parlamento. E’ rimessa al medesimo di autorizzarla perché è la logica della democrazia che deve decidere quale sia il costo minore. Quello che si cagiona all’indagine, o quello che corre l’onore del Parlamento con la libertà della persona in questione.

Ma il danno al sistema costituzionale resta. Perchè quando l’art 68 della Costituzione venne cambiato con la eliminazione della autorizzazione a procedere mancò una riflessione sulla ricaduta di sistema che tutto questo avrebbe comportato: il fatto,cioè, che il giudice dopo avere proceduto, avrebbe sempre potuto liberamente accusare. Rendendo pubblico il comportamento del parlamentare e consentendone un giudizio politico. Non giudiziario, ripeto, ma politico e costituzionalmente rilevante. Non si comprese da parte di tutti che l’aumentato potere del giudice avrebbe comportato conseguenze sul quadro storico nel quale già l’accusa, e quindi una domanda di cattura, andava oggettivamente ad inserirsi.

La corruzione è male inestinguibile. Si può punire il colpevole. Non la si elimina perché non si elimina il male. Essa costituisce in modo distorto un motore economico. Perchè non si fanno alcune opere se non vi è un guadagno illecito. Tutto ciò si deve evitare con sistemi amministrativi seri. In ultimo soltanto con il giudice penale. Mi pare invece che vicende come il cosiddetto mondo di mezzo a Roma, crisi industriali come quella dell’Ilva di Taranto con tutte le sue interferenze con i diritti alla salute ed alla vita delle persone, dimostrino che, come sempre, troppo è lasciato alla cosiddetta ultima barriera, quella del giudice che accerta e punisce il delitto. Perchè le altre difese sociali, affidate alla amministrazione efficiente e controllata ed al governo concreto, non hanno funzionato. Ovvio che il PM viene spesso, dalla Storia e dalla contingenza nazionale, caricato di un peso abnorme, che è oggettivamente politico. Il peso di dire come e quando operare nel governo delle cose, essendo chiaro che un modo o un altro di operare non sono mai neutrali verso la funzione politica in questione. Ovvio che questo crea contrasti. Ovvio che metta in conflitto la funzione del giudice con quella del Governo. E che confonda il Paese al quale resta la percezione di una assoluta incertezza nei momenti difficili.

Pensiamo al processo civile. Una macchina enorme che gira intorno a se stessa macinando il nulla. Serve alla sopravvivenza dei suoi addetti. Ogni tentativo di renderlo fedele al suo modello ideale, quello di decidere chi ha ragione, e chi e quanto deve pagare, costringendo i suoi addetti a confrontarsi sui fatti, è fino ad oggi annegato in un mare di tecnicalità, ciascuna figlia di un'altra, che portano ad una sola conclusione: esso aiuta anzitutto chi ha torto, chi non vuol pagare. Amministrazioni pubbliche per prime. E spaventa il cittadino onesto.

Questo è tutto un sistema che si divora. Perchè rinuncia a tutti i suoi passaggi ordinari e ricorre allo strumento ultimo della punizione penale, e non riuscendo a ritrovare la regola generale, chiede di diventare sempre più eccezionale e legato al caso concreto. Rifiuta l’idea che i problemi veri sono complessi. E si arrende all’economia della inefficienza.

La balcanizzazione orrenda dei magistrati, la cui cultura si sta dimostrando inadeguata a fronteggiare questa crisi dello Stato di diritto, è solo una conseguenza. Il caso Palamara a mio avviso lo dimostra.

Una banale questione, quella degli accodi tra membri di un collegio eletto per liste contrapposte o nominato nella quota parlamentare secondo scelte legittimamente politiche ha fatto scoprire gli accordi. Ha fatto scoprire la valutazione politica delle scelte che contano. Le grandi procure della Repubblica ed i grandi uffici. La diffusione di conversazioni private ha dimostrato, niente di meno, che queste scelte sono oggetto di patteggiamenti, trattative, pressioni. Ci si interroga su come rendere questi momenti liberi dalle attività lobbistiche. Si immagina di togliere discrezionalità al Consiglio sulla base di norme stringenti. Punteggi o roba simile. Si dimentica che l’autonomia e la indipendenza dei giudici è affidata anche alla discrezionalità dell’organo costituzionale che li governa. Si dimentica che indipendenza ed autonomia debbono stare insieme alla libertà del Consiglio.

Il problema si può risolvere in due modi. O affidando al Governo, al Ministro della giustizia maggiori poteri diminuendo la indipendenza della magistratura. Oppure affrontando il peso della indipendenza stessa. Che comporta la necessità della valutazione discrezionale del Consiglio.

Il Covid, con il suo carico di dolore e di costi economici e sociali che ancora non riusciamo a definire, ci impone di non rimandare ancora di affrontare tutto questo. La assenza del dibattito giuridico e la sua riduzione alla valutazione pettegola di messaggini tra addetti ai lavori della giustizia, è un danno enorme. E’ una distrazione di massa. I magistrati certamente, ma tutti, dovremo recuperare il senso politico delle vicende. E decidere come cambiare.

GIUSEPPE MARIA BERRUTI