Il valore della terra nell'era dell'energia verde In primo piano

Cibo ed energia. Un binomio che già nel 2015 ha caratterizzato l’EXPO di Milano: “Nutrire il pianeta - Energie per la vita”. Ne abbiamo discusso con Carmine Nardone, precursore nel Sannio dell’utilizzo di tecnologie innovative nel mondo agricolo, finalizzate ad elevare la qualità del prodotto e rendere l’impresa agricola autosufficiente dal punto di vista energetico. “Serve un’integrazione virtuosa delle nuove tecnologie, per un nuovo paradigma tra energia rinnovabile ed energia alimentare, basato sulla cultura del riuso degli spazi dismessi”.

Partiamo dai cambiamenti climatici e i suoi effetti sull’ecosistema.

Gli effetti dei cambiamenti climatici e dei modelli tecnologici dominanti, hanno portato da una parte all’intensificazione dei fenomeni d’erosione e desertificazione del suolo, dall’altra ad un generale calo della sostanza organica, con estese perdite di fertilità! Sia il capitalismo che le economie pianificate, non si sono limitate al reddito che la natura può dare, ma hanno aggredito e distrutto risorse naturali non riproducibili.

Da ciò nasce anche la ‘contraddizione’ tra vantaggi o benefici immediati di mercato e costi in termini di consumo di risorse non riproducibili.

Lo sviluppo di un sistema agro-industriale basato fino ad oggi sulla presunzione di una illimitata disponibilità di energia fossile a basso costo ed una crescente distanza tra luoghi di produzione e luoghi del consumo, non è più sostenibile. Assolutamente. Le multinazionali s’accaparrano terreni nei paesi poveri e trasportano il cibo nei paesi ricchi. Nel 2022, secondo i dati tratti da Land Matrix e da rapporti della società civile e di ricercatori, il numero dei contratti conclusi è arrivato a 2.384, per una superficie totale di 93,2 milioni di ettari, pari a Germania e Francia messe assieme.

Non solo le multinazionali: in tal senso emblematico è il caso di Bill Gates.

Lui ed altri miliardari hanno acquistato enormi quantità di terreni agricoli; secondo un rapporto Forbes, Gates possiede oltre 97mila ettari. Com’è noto, con l’espressione “food miles” s’intende non solo la distanza di un alimento dal luogo di produzione a quello in cui è consumato, ma mira anche ad esprimere l’entità dell’impatto ambientale del trasporto del cibo: questo include le emissioni di biossido di carbonio, l’inquinamento dell’aria, il traffico, gli incidenti e il rumore. Esiste un chiaro rapporto di causa-effetto fra i food miles e carico inquinante. Naturalmente, questa non è l’unica insostenibilità.

Ci sono soluzioni alternative, in grado d’invertire questa tendenza?

L’insostenibilità degli attuali modelli alimentari è una sommatoria di condizioni insostenibili, che riguardano congiuntamente produzione, distribuzione e consumo. Per questa ragione è da ritenere strumentale discutere su quale ambito trovare per prima le alternative: la risposta è che deve essere una strategia congiunta.

Importante è trovare risposte, anche perché parliamo di dinamiche globali hanno poi rilevanza nelle strategie di sviluppo nazionale, regionale e locale.

Esatto. E lo sono ancora di più per la Campania, che vive contemporaneamente un doppio fenomeno: di urbanizzazione dell’area metropolitana ed un processo di abbandono e desertificazione delle aree interne. Il paesaggio rurale della Campania sta cambiando, come del resto in Italia e in Europa. Le città e le loro infrastrutture si stanno espandendo su terreni agricoli produttivi, frammentando ulteriormente il paesaggio e interessando gli equilibri degli ecosistemi. Dal 2010 al 2020 la Campania ha perso il 4,5% (dati Istat) del suolo agrario utilizzato e della superficie agricola territoriale. Il punto centrale è la ‘non cultura’ del riciclo degli spazi urbani inutilizzati, in alternativa all’utilizzo del terreno agricolo: la superficie agraria utilizzata, dal 1982 al 2021, in Italia si è ridotta del 20.83% (da 15.833.000 ettari a 12.856.000 ettari) ed in Campania del 27,12 % (da 708.000 ettari a 516.000 ettari).

La installazione di impianti d’energia rinnovabile può essere la soluzione?

La risposta è sì, ma assumendo una cultura del riuso degli spazi dismessi. La mia proposta sono le “Isole energetiche”. Da localizzare: a) cave in disuso (312 in Campania) e miniere esaurite; b) aree da bonificare con coperture in amianto; c) discariche esaurite; d) edifici industriali vuoti o dismessi (centinaia e molti localizzati in aree PIP); e) solo sulle infrastrutture rurali, eco- magazzini, stalle e tettoie.

C’è poi l’altro grande tema: la riconversione delle produzioni di cibo sotto serra.

Sono i cambiamenti climatici a spingere verso la produzione di cibo in ambienti confinati. Diventa pertanto decisivo sostituire l’attuale rapporto tra energia da combustibili fossili ed energia alimentare, con un nuovo paradigma tra energia rinnovabile ed energia alimentare. Attualmente, la produzione ′sotto serra′ in Italia riguarda circa 40.000 ettari, con il 60% localizzata al Sud. Riconversione, dunque, delle produzioni di cibo in ambienti confinati energivori, in eco-serre ad emissioni zero di CO2.

Un cambio di paradigma necessario per l’uomo, considerato che l’energia è ancora quasi esclusivamente ricavata da combustibili fossili.

E ciò comporta, non solo l’emissione di CO2, ma anche meno qualità alimentare e costi di produzione decisamente alti. Una proposta ‘ragionevole’ per una vera “svolta sostenibile” è quella di procedere ad una radicale riconversione tecnologica della produzione ‘in serra’, orientando tutto il sistema verso l’integrazione virtuosa delle nuove tecnologie: fotovoltaico, eolico, geotermia, recupero acque piovane, depurazione acque reflue, illuminazione personalizzata alla fotosintesi, concimazione carbonatica, mezzi agricoli elettrici. Queste nuove tecnologie consentono, peraltro, un riuso intelligente dei siti industriali dismessi, trasformabili in vere e proprie bio-fabbriche.

Per uno sviluppo sostenibile delle aree interne, le istituzioni su cosa dovrebbero puntare?

Innanzitutto un polo dello studio idrogeologico della dorsale appenninica, fondamentale per accrescere la sicurezza rispetto al rischio sismico e di prevenire attraverso mappature preventive il dissesto idro-geologico; in secondo luogo un polo dell’arte, luogo di creatività e d’incontro tra artisti e artigiani impegnati nella realizzazione delle opere e sostenuti da moderne tecnologie di prototipizzazione virtuale - c’è anche il sito, rimuovendo gli ostacoli burocratici: l’ex-agenzia dei tabacchi di Benevento; un polo dell’idrogeno, in considerazione della meritoria esperienza accumulata dai ricercatori del Sannio guidati dal prof. Domenico Villacci, con il già realizzato progetto H2 nel 2007. 4; un polo di ricerca e sviluppo per l’agricoltura sostenibile delle zone collinari e montane; infine una nuova rete di Laboratori d’Innovazione Territoriali (LI.T.) finalizzata a facilitare processi innovativi nello sviluppo locale.

Si è parlato di un ‘parco eolico nell’area Pietrelcina-Pesco Sannita’: cosa ne pensa?

Io mi chiedo: in un territorio vasto e diversificato come il Sannio, possibile che non esiste un luogo meno impattante? Non solo paesaggisticamente, ma anche con attività produttive! A tal proposito mi piace ricordare lo ‘Zoo delle Maitine’, a Pesco Sannita, dove si promuove (e s’insegna ai bambini) una filosofia di vita basata sul rispetto dell'ambiente e di chi lo occupa.

GIUSEPPE CHIUSOLO