La continuità e tre gallerie In primo piano

Nella pubblica amministrazione la continuità non è un vezzo dei lavativi, essendo invece il collante della responsabilità e della economicità. La burrasca degli anni ’90, volendo travolgere il potere dei partiti, proclamò la caduta del vecchio ordine con slogan di sicuro effetto ma dalle conseguenze difficilmente prevedibili. Una delle parole d’ordine che ebbe immediata fortuna fu “discontinuità”. Così come alle elezioni uscivano di scena i protagonisti di una duratura stagione di stabilità, gli homines novi saltavano in padella la loro improvvisazione con slogan “rivoluzionari”.

A Benevento il campione fortunato della discontinuità fu Pasquale Viespoli che conquistò notevoli consensi mirando forte “in avanti” e facendo piazza pulita del passato. E’ sotto gli occhi di tutti il mesto esito della magica parola. Il più importante intervento che Viespoli abbia portato in dote alla città nello stato di “incompiuta” è stato messo da parte e destinato dai successori alla discarica della discontinuità. E quell’opera di grandi firme della progettazione urbana (Gabetti e Isola) appare, di fronte alla cattedrale, come un rudere, addirittura bollato dal popolino come “mamozio”.

Se a qualcuno viene in mente di scartabellare negli armadi e negli archivi del Comune si potrà rendere conto di quanta progettualità sia stata concretizzata per la definizione di una Benevento organicamente funzionale. Grazie anche alle provvidenze del post terremoto, l’Ufficio Tecnico Comunale si poté giovare dell’opera di giovani architetti, ingegneri e periti. Tutto il disegno di sistemi viari organici, intesi ad assicurare un flusso continuo di traffico motorizzato, ad un tempo alleggerendo il carico sostenuto storicamente dal centro antico e mettendo a disposizione rapidi e sicuri flussi da e verso gli assi viari esterni (ma anche raccordando gli agglomerati di nuova formazione: Rione Libertà, Rione Mellusi, Capodimonte, Pacevecchia) è stato trasferito in documenti che si sono dimostrati preziosi, quando si sono presentate occasioni di accesso a finanziamenti.

Non sarebbe stato possibile dialogare con la Cassa per il Mezzogiorno allorché si sono realizzate le tangenziali, o la prima galleria sotto la Pacevecchia, o il raccordo autostradale da Castel del Lago. E non sarebbe stato possibile cogliere al volo la cospicua diponibilità di oltre 40 miliardi di lire procurata dalla mediazione del giovane deputato Clemente Mastella. Il finanziamento degli assi interquartiere fu assegnato in presenza di documentazioni probanti. C’erano idee chiare e documenti leggibili e tecnicamente eloquenti. Altro che cattedrali nel deserto o, peggio, opere faraoniche.

Benevento, che aveva solo la tangenziale San Vito-Ponte delle Tavole oltre ai due ponti cittadini sul fiume Calore e sul fiume Sabato, può contare su opere che hanno scavalcato i fiumi e dato respiro al centro storico. E’ vero che molti beneventani continuano a percorrere il centro storico e a fare la fila ai semafori del ponte ex Vanvitelli, ma perché non sono “invitati” da una idonea segnaletica. Quella progettualità degli anni ’80 non ha potuto dare tutti i suoi frutti per lo sciagurato sposalizio della “discontinuità”.

Avendo accennato su Realtà Sannita alla possibilità che dal Pnrr possano venire i fondi necessari per completare le famose “tre gallerie”, molti lettori mi hanno chiesto di essere informati. Anche i giovani sanno che dove è morto quel ragazzo di sedici anni si chiama Viadotto delle Streghe. Quello è propriamente il viale a scorrimento veloce che dallo Stadio potrebbe arrivare alla Rotonda delle Scienze (oltre Via Nicola Sala) passando attraverso una galleria che in parte è già realizzata ed è stata abbandonata.

L’Amministrazione Pepe realizzò l’uscita su Via Benito Rossi (verso via Avellino) collegando la zona di Via dei Mulini alla parte alta della città. Ma la stessa amministrazione ha “neutralizzato” la galleria artificiale che dalla Rampa verso via Benito Rossi giunge sotto Via Avellino per imboccare la galleria che sbucherebbe all’incrocio di Viale Martiri d’Ungheria con Viale Mellusi. Questa galleria risulta poco più lunga di trecento metri. Sulla piattaforma che fa da solaio della galleria base, è in parte già scavata la galleria che da Via Avellino (dove si vede l’entrata in parte scavata) andrebbe a sbucare tra Viale Martiri d’Ungheria e Via Foschini. La galleria più alta, direttamente sotto i campi di tennis, risulta da un collegamento tra Via delle Puglie (anche lì si vede l’imbocco) e Viale Martiri d’Ungheria (poco più in basso dell’attuale ingresso agli Uffici dell’INPS).

L’apertura delle due gallerie trafficabili (la terza superiore non è destinata alle automobili) alleggerirebbe dal traffico inquinante Via delle Puglie, Viale degli Atlantici e Via Meomartini e Pacevecchia, senza contare gli altri svincoli verso i quali sono dirette le automobili provenienti dal Rione Libertà e dalle contrade attorno a San Vito.

Un volenteroso gruppo di lavoro potrebbe calcolare quanto costa portare a compimento quest’opera. E’ sicuramente molto meno di quello che si è già speso. Se tutto resta com’è, per restare fedeli alla discontinuità, quelli spesi sono soldi buttati. Se si completa l’opera anche gli scettici vedranno coi loro occhi a che cosa sarà servita. Come fu per quelli che non vedevano la necessità della seconda galleria Avellola, ma lo vedono bene quando per lavori di manutenzione viene chiusa l’una o l’altra “canna”.

MARIO PEDICINI