La parola alle urne In primo piano

La Regione Campania celebra 50 anni di vita con una consultazione popolare fortemente disturbata dalle preoccupazioni per il Covid-19 e da un clamoroso crollo della stabilità delle rappresentanze politiche.

Alle prime elezioni del 1970, la Campania sventolava l’etichetta di una svolta storica. E i protagonisti erano i partiti collaudati dai primi vent’anni di storia repubblicana. Napoli e la Campania scendevano in campo con una classe dirigente composta da personalità protagoniste riconosciute anche a livello nazionale. E’ vero che i sostenitori della Regione non corrispondevano più agli schieramenti che in Assemblea Costituente ne avevano disegnato le competenze. Non erano tutte “sincere conversioni” verso uno Stato deciso a decentrare le funzioni amministrative. I convertiti lo erano anche per aggiornati calcoli politici. Non a caso una regione con maggioranze socio-politiche stratificate su sedimenti monarchici e radici cattolico-popolari faceva emergere i germi di un protagonismo della sinistra che arriverà di lì a poco ad impadronirsi dell’amministrazione del capoluogo, terza città d’Italia.

Dal palcoscenico della Regione si affermava, infatti, un protagonismo nuovo che poteva utilizzare il corposo materiale elaborato dal Comitato Regionale per la Programmazione della Campania, preziosa fonte di dati, statistiche e proposte operative utilissima ancor oggi non solo a fini di (più che doverosa) conoscenza storica. Nella prima conformazione il Consiglio Regionale esprimeva, grazie al sistema elettorale proporzionale con preferenze, una classe dirigente allevata nelle esperienze amministrative locali e sostenuta dal fiato sul collo dei rappresentanti territoriali dei partiti politici. Poi si sa che vent’anni dopo si sarebbe celebrata una prima fine della Repubblica, attraverso lo sciame sismico di terrorismo e giustizialismo. Durante la seconda Repubblica la Regione, contrariamente alle riforme della Costituzione, ha perso l’autorevolezza della autonomia, servendo sempre più a quella forma irritante di termometro delle tendenze politiche. Il fenomeno di annettere importanza fuori misura ad ogni scrutinio ha snaturato il gioco con l’unica conseguenza di svilire e confondere la diversità dei piani politici di ogni appuntamento elettorale. Fino alla esaltazione del populismo comico del Vaffa…che ci ha regalato le gesta politiche dell’ultimo biennio.

Parlare della consultazione che il 20 e 21 settembre selezionerà il nuovo personale politico che dovrà amministrare per 5 anni la Regione Campania diventa impresa impossibile senza un preciso riferimento allo sfasciume dei gruppi politici che si sono “assembrati” sotto le insegue più svariate (e più sguaiate). Essendo impossibile identificare un briciolo di sostanza politica nella deprimente qualità degli slogan (non più che slogan sono le denominazioni di tante liste), si resta peraltro fortemente impressionati dalla disinvoltura con la quale si sono accasati i sostenitori dei tre candidati presidenti: Vincenzo De Luca, Stefano Caldoro e Valeria Ciarambino. Già che due partiti che costituiscono l’attuale governo nazionale in sede locale stiano l’un contro l’altro, col rischio di favorire il terzo incomodo, la dice lunga sullo stato di salute della politica.

In tale contesto, lasciando da parte le comunali, come si fa ad affrontare con serietà il referendum confermativo che è stato accorpato alle altre votazioni? Il sì e il no sono già dotati in partenza di una valenza che non ha nulla a che vedere con la legge che riduce il numero dei parlamentari nazionali. Come per il referendum abrogativo che stoppò la formidabile ascesa di Matteo Renzi, anche questa consultazione è diventata una scelta tra il bene e il male, cioè tra il sostegno al governo Conte o un biglietto di licenziamento.

L’unico momento nel quale il cittadino esercita un diritto fondamentale in una condizione di assoluta parità tra ricco e povero e tra colto e inclita è quando ci si trova nella cabina elettorale con una matita in mano. E’ affidata all’elettore una grande responsabilità. All’uso di questa responsabilità ci permettiamo di incoraggiare gli elettori. La fuga dalle urne sarebbe un segno di una malattia sociale almeno pari alla pandemia da Covid-19. Si vota con la mascherina sul volto, ma nessuna mascherina potrà limitare la libertà di voto. Non è solo questo la democrazia, ma senza questo non c’è democrazia.

MARIO PEDICINI