Liberazione e Delcogliano In primo piano

Tra chi la vuole attualizzare e chi la vuole strumentalizzare la storia viene sminuzzata e ridotta ad argomento di litigi o enfatizzazioni, con il risultato di dileguarsi tra gli scaffali del dimenticatoio.

La storia va conosciuta, affrontando lo sforzo di portarsi nel clima, nella cultura e nelle condizioni economico-sociali del suo tempo. Ogni “festeggiamento” o enfatizzazione reca al suo stesso interno il rischio del rifiuto o della mistificazione. Ecco il motivo per cui è la sobrietà la strada più adatta per le celebrazioni che una tradizione rispettabilissima si porta con sé.

Come in altri paesi che una storia ce l’hanno, anche l’Italia ha in calendario la ricorrenza di “feste” e “giornate” che le istituzioni organizzano per una sorta di autoaffermazione. Nel 1977 in Italia, sull’orlo di una delle tante crisi economiche, fu data una sforbiciata a tali ricorrenze. Nel taglio caddero, addirittura, il 2 giugno della festa della Repubblica e, rispetto alla Chiesa Cattolica, il giovedì del Corpus Domini: non soppresse, ma spostate alla domenica successiva. Nella trappola finì pure San Giuseppe, da poco festa anche “civile” di un “oggetto” già avviato sulla discesa della decadenza: il papà.

Negli ultimi anni, invece, si sono moltiplicate le “giornate” (della Memoria, del Ricordo, dell’ambiente, dell’acqua…) ciascuna con un proprio catechismo laico. In un paese normale ognuno dovrebbe essere libero di partecipare alla festa che sente più vicina ai propri gusti, lasciando ognuno libero di non darsene pensiero. E, invece, la tradizione pittoresca del Bel Paese vuole che proprio quando sfilano i “partigiani” devono “infilarsi” anche contestatori più o meno cavallereschi.

In certi casi, però, sono proprio i custodi di una festa a creare le condizioni ideali per una ammescafrangesca che scatena quei caratteristici forni di cottura che sono i programmi televisivi “di approfondimento” (sic!). Ci sono tanti giorni per azzuffarsi, ma certuni scelgono il giorno sbagliato, anche per la palese soddisfazione che è data dalla risonanza delle cronache.

E’ appena passato il 25 aprile, festa della Liberazione. E’ una data storica che vuole rappresentare il contributo che agli esiti della seconda guerra mondiale fu dato dalle formazioni partigiane del Nord, durante il ritiro a Sud della Monarchia e la instaurazione della Repubblica Sociale Italiana praticamente da Roma in su. Basterebbe che in questo giorno si rievocassero questi fatti storici, che quasi nessuno conosce proprio per lo stravolgimento del significato stesso di quella data. Che non è la fine della guerra, ma la liberazione dal suolo patrio della presenza dei tedeschi, fino all’8 settembre 1943 nostri “fraterni” alleati. Che cosa fu dell’Italia tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 sarebbe l’oggetto (a mio avviso preziosissimo) per sapere e capire anche i passi successivi che si dovettero fare per arrivare ad una svolta istituzionale: il referendum e la nascita della Repubblica..

Il 25 aprile si ricorda un tratto, a suo modo vittorioso, di una guerra perduta. Il Trattato di Pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, pone all’Italia sconfitta condizioni pesantissime. Qualcuno si era illuso che le nazioni vincitrici ci avrebbero cooptato. Nella Assemblea Costituente (che funzionava anche da parlamento) ci fu amarezza. Pietro Nenni, che era stato inviato a Parigi per la trattativa coi vincitori, se ne venne in Italia e a firmare il trattato fu inviato un ambasciatore. Chi vuole può andare a leggere le pagine del trattato riguardanti i pesi imposti all’Italia. Altro che vittoria.

La scelta coraggiosa di Alcide De Gasperi valse l’inserimento dell’Italia nel Patto Atlantico firmato il 4 aprile 1949, quando nella nuova Costituzione erano state trasferite (vedi l’art. 3) le clausole del trattato di pace.

Vorrei tanto che gli amici dell’ANPI, in memoria dei partigiani che non ci sono più, portassero avanti un progetto rigoroso di educazione alla storia delle nuove generazioni, lasciando perdere le connessioni con l’attualità, sia pure maledettamente drammatiche come la guerra in Ucraina. L’Italia si era già lamentata per la “vittoria mutilata” della prima guerra mondiale. E giunse il fascismo. Non usciremo da un complesso di inferiorità, se non adottiamo un costume di verità.

Discorso analogo ribadisco, nell’occasione, per l’assassinio di Raffaele Delcogliano e Aldo Iermano. Furono ammazzati dalle Brigate Rosse. I don Ciotti si dedichino a diffondere notizie chiare sulla mafia, abbandonando la brodaglia delle mafie (al plurale) nelle quali non potrà trovare la giusta qualificazione il sacrificio dei nostri due concittadini. Altra questione è che il 40° anniversario del loro sacrificio non sia stato ricordato. Per raccontarlo ai giovani, eredi delle schegge di dignità civica che quel sacrificio deve evocare.

MARIO PEDICINI