Liverini: ''Riscrivere il PNRR e spostare gli obiettivi della transizione ecologica'' In primo piano

Quando l’involucro costa più del prodotto alimentare che conserva, non siamo più un’economia di mercato. Regole e principi vengono cancellati. I contratti annullati. Le imprese chiudono. È questo lo scenario in cui opera il mondo dell’agroalimentare, nazionale e sannita. Con conseguenze anche su altri settori, non esclusa la viticoltura. La bottiglia, non può costare più del vino o della salsa che contiene. Il packaging, non può costare più del latte o della pasta. Logico, elementare. Ma con i costi alle stelle di energia, gas e carburanti, che generano aumenti e speculazioni sulle differenti materie prime, tutto si complica e nessuno è in grado di prevedere i tempi per un ritorno… alla normalità. Vale a dire: riconoscere il dovuto a chi produce. Ne abbiamo parlato con Filippo Liverini, dell’omonimo mangimificio, specialista a livello nazionale nella nutrizione animale.

Caro-energia e aumento dei costi delle materie prime stanno mettendo a dura prova le filiere agroalimentari: comparti trainanti dell’economia sannita.

Le quotazioni dei cereali, e non solo, erano già esplose per il balzo della domanda successivo alle prime ondate della pandemia; oggi, nell’incertezza delle forniture da Ucraina e Russia, hanno toccato nuovi massimi. E questo, indipendentemente dal fatto che s’importi da questi Paesi, ma per l’estrema globalizzazione degli scambi, l’esplosione dei costi di trasporto ed il complicato meccanismo di formazione dei prezzi. Il nostro Paese importa il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 35% del mais necessari per l’alimentazione del bestiame. L’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais, con una quota di poco superiore al 20% e garantisce anche il 5% dell’import nazionale di grano. L’Italia è obbligata ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori, che sono stati costretti a ridurre di quasi un/terzo la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni.

Diciamolo: molte industrie hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale, utilizzando i contratti di filiera.

L’emergenza internazionale ha fatto emergere i rischi legati a queste scelte: non aumenteranno solo i prezzi di pane, pasta, dolci, mais, ma anche i prodotti per i quali si utilizzano mangimi, a cominciare dal latte, con prezzi che gli allevatori stentano a farsi riconoscere.

In che modo Regione e Ministeri possono intervenire, con tempestività e concretezza?

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto-legge 1° marzo 2022, n.17 - cosiddetto Decreto Energia - recante misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali. Per quanto riguarda il gas, si prevede un credito d’imposta del 15% in relazione ai forti aumenti del prezzo della commodity per i settori gasivori, limitatamente al secondo trimestre del 2022. Per quanto riguarda l’energia elettrica, si confermano le misure adottate nel precedente decreto Sostegni-ter, estese a tutto il secondo semestre del 2022. Ritengo che questo Decreto avrebbe dovuto estendere tali interventi ad un orizzonte temporale almeno annuale per le imprese energivore e che deve essere 'prioritario' l’impegno verso soluzioni strutturali per le fonti rinnovabili.

Il rischio ormai evidente a tutti è che la transizione energetica, senza un governo dei processi, a pagarla a caro prezzo saranno le imprese, soprattutto quelle agricole e agroalimentari.

Il caro energia incide sui costi di produzione, ma sono rilevanti anche i prezzi dei concimi, cresciuti del 170% sempre per colpa del gas. La filiera agroalimentare è colpita dalla crisi ucraina in maniera più consistente rispetto ad altre, al punto da mettere in dubbio la sostenibilità economica di diverse aziende trasformatrici. Molte imprese sono alla ricerca di soluzioni: si rafforzano gli esempi di autoproduzione e si guarda alle piccole centrali autonome, alle biomasse, all’efficienza energetica, alle fonti rinnovabili d’energia, ai contratti pluriennali a prezzo concordato di Ppa o alle aggregazioni di consumo fra imprese o famiglie, come nel caso delle comunità energetiche.

Condivide il pensiero del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che vede come la transizione energetica soffra, in questo momento, di molte variabili esogene: la guerra in Ucraina, la crisi energetica, i costi delle materie prime, il rallentamento della crescita, la lievitazione dei costi in generale.

Lo condivido pienamente. Le variabili interne al Piano Pnrr quali la lievitazione dei costi, i ritardi di alcuni progetti, l’impreparazione delle amministrazioni locali, indicano l’esigenza di riscrivere il Pnrr ed allungarlo temporalmente, oltre che spostare in avanti gli obiettivi della transizione ecologica. Le aziende agricole ed agroindustriali si trovano nella condizione di dover assorbire i maggiori costi per evitarne il trasferimento al consumatore finale: sono, quindi, tra le imprese maggiormente a rischio in questo momento. Possiamo dunque tutti intuire le difficoltà del Sannio, che nella regione Campania annovera il maggior numero di imprese agricole ed agroalimentari.

GIUSEPPE CHIUSOLO