No al declino In primo piano

Ci fu un tempo nel quale bisognò guardarsi intorno e decidere il da farsi. Fu dalle classi più umili che salì forte la speranza di un cambiamento attraverso la fatica dello studio e l’impegno della testimonianza. Cioè provare a fare ciò in cui si credeva. Tra le tante cose nelle quali mi sono trovato, vorrei riandare alla nascita del Centro di Cultura dell’Università Cattolica, voluto dall’Arcivescovo Raffaele Calabria e oggi alla sua memoria intitolato. Studente universitario, già impegnato nella FUCI (che facemmo rinascere con una apertura che a tanti parve addirittura scandalosa), fui il primo segretario del sodalizio. Una delle prime iniziative fu quella di studiare, con l’aiuto dei professori della Università Cattolica, la realtà da cui partire per immaginare una traiettoria di progettualità. Il professore Cesare Saibene (da Wikipedia troverete di chi sto parlando) volle che si dicesse “zone arretrate” e non “zone depresse” quando si trattava di descrivere la situazione di partenza della nostra economia.

Passato il fervore del dopoguerra, nonostante l’impegno della politica e lo strumento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno, ci sembrava che oltre a richiedere iniziative dagli organi pubblici (in primis lo Stato, sperando poi nella nascita delle Regioni) si dovessero far nascere anche proposte dal basso. La società liberal-democratica disegnata dalla Costituzione doveva essere motore, non solo beneficiaria di uno sviluppo progettato dall’alto. E ciò non per visioni ideologiche, ma per una costatazione elementare: una visione reale delle condizioni di partenza per uno programma di sviluppo è un fattore decisivo per non correre il rischio di fallimenti e di errori irrecuperabili.

Quando il Comitato Regionale per la Programmazione Economica lavorò per la redazione di un documento (che resta una delle opere fondamentali per conoscere-capire-documentarsi) noi giovani fummo informati e fummo chiamati a collaborare alla descrizione della situazione ma anche ad indicare le vie d’uscita da una condizione di arretratezza (Saibene aveva visto giusto) rispetto ad altre realtà italiane o europee, ma soprattutto rispetto ad obiettivi concreti che ci proponevamo. Questo fu il nostro Sessantotto mentre altri si esercitavano a fare occupazioni e cortei dal sincero sapore carnevalesco.

Uno degli obiettivi individuato nel documento finale del Comitato Regionale per la Programmazione Economica fu l’Università a Benevento, individuato come Seconda università della Campania. E di questa intuizione elaborai una funzione urgente e riconoscibile da tutti: il freno ad una emigrazione che depauperava la provincia di Benevento delle fasce di popolazione più coraggiose, di cui una parte era data dalla gioventù che le famiglie con enormi sacrifici era riuscita a fare studiare, raggiungendo anche la laurea. Quel Comitato non era un organismo politico, espressione dei partiti. Era un organismo costituito da tecnici (presieduto dal Provveditore alle Opere Pubbliche della Campania, ingegner Giovanni Travaglini) che possedevano solide conoscenze circa la messa in moto dell’agire politico.

Nel ventennio successivo, grazie anche a chi decise di restare a dispetto di quanti ne avrebbero ben visto l’espatrio, c’è stata un consistente inversione di tendenza. Molto ha influito la scuola, con la piena realizzazione dell’obbligo fino alla terza media (che indusse la gran parte a proseguire gli studi). Fu una frustata salutare per le famiglie e l’occasione per la creazione di alcune migliaia di posti di lavoro. Il coronamento di una stagione con nuovi protagonisti venuti dal basso, integrati con la parte più incisiva della classe dirigente politica, fu l’avvio dell’Università (prima il Consorzio per la sua promozione, indi la istituzione), la nascita del Conservatorio di Musica, la Scuola Allievi Carabinieri nell’ex Pontificio Seminario Regionale. Se la Provincia ideò, progettò e realizzò la Benevento-Telese (fino a Caianello con l’intervento della Provincia di Caserta) e la Fondo Valle Tammaro per Campobasso (anche qui con una partnership con la Provincia di Campobasso), fu lo Stato ad ammodernare la ferrovia Foggia-Benevento-Caserta e l’ANAS a collegare l’autostrada Napoli-Bari con il raccordo Castel del Lago-Benevento.

Qual è la situazione nel 2020? Somiglia molto a quella degli anni ’60 del secolo scorso: deficit di popolazione (poche nascite e molti viaggi senza ritorno), nebulosità di prospettive, mancanza di indicatori e assenza di “profeti” credibili. La politica screditata che esprime soggetti senza cultura e senza ambizioni non va oltre la pratica della mezzadria e del piccolo cabotaggio. Scollamento tra Stato, Regioni, Enti locali: emblematico il caso delle province che non si sa se esistano, se hanno strumenti per fare cosa (almeno badare alla diga di Campolattaro?).

Realtà Sannita ha raccontato gli anni di questa parabola e sta raccontando le scene di un declino che sembra inarrestabile. Giovanni Fuccio fu il primo, a nome di una organizzazione studentesca, a proporre l’Università. Tiene in piedi questo giornale con la tensione morale di chi vorrebbe cimentarsi in un confronto, ma deve prendere atto che non ci sono interlocutori. Le energie, che pure ci sono, sono sprecate appresso a dispendio di risorse senza alcun frutto se non per gli addetti ai favori.

E però, come abbiamo osato quando potevamo immaginarci protagonisti diretti di un processo di crescita, così oggi saremmo soddisfatti di poter assecondare nuove generazioni di cives samnites disposti a giocarsi un nuovo destino per la propria terra.

Ecco il senso del nostro impegno. Far vivere e rivitalizzare le nostre comunità puntando su quello che abbiamo: bellezze naturali, testimonianze di una storia che può innescare un turismo internazionale, giacimenti culturali, una agricoltura che si è mossa puntando su forze giovani capaci di competere, conoscenze tecnologiche. Come quand’eravamo giovani non aspettammo che venissero colonizzatori, così oggi intendiamo spronare la scuola, l’università, la borghesia, gli operatori economici a mettersi insieme e a progettare gli strumenti da affidare alla classe politica perché vi apponga il sigillo della condivisione e la istruttoria verso i finanziatori (nazionali ed europei).

Non ci limitiamo a un augurio, lavandocene le mani. Nel nostro piccolo abbiamo sempre incoraggiato i giovani (quanti giornalisti hanno fatto le “prove” a Realtà Sannita? Quante idee sono contenute nei libri delle nostre edizioni?). Non abbiamo lesinato critiche a politici inconcludenti e non ci stancheremo di additare come approfittatori della credulità popolare i giocolieri delle spartizioni.

Se c’è da fare i mediatori culturali, non abbiamo prevenzioni nei confronti di nessuno.

MARIO PEDICINI