Orazio Gnerre, ''Amante delle lettere e della sua città'' In primo piano

E’ una calamita. Quando ci passi vicino lo sguardo ne viene automaticamente attratto con un gesto incondizionato, come quello di mettersi la mano fra i capelli.

E’ l’istallazione sita in prossimità dell’incrocio vicino al Tribunale, sul Viale Mellusi, sulla quale, ab immemorabili, vengono affissi i necrologi.

Ognuno di noi, - o fermo in macchina aspettando che esca il verde al semaforo, o passando a piedi e fermandosi vicino, - legge i nomi dei concittadini “ritornati alla casa del Padre”, la loro età, il testo dei manifesti funebri. Distrattamente, quando non li ha conosciuti; con animo turbato, quando si tratta di persone note, frequentate o di amici.

Quel cartellone costituisce una mantra, il “fratello ricordati che devi morire” dei frati trappisti, reso celebre dall’intramontabile “Non ci resta che piangere” di Troisi e Benigni.

Credo che, almeno una volta di sfuggita, chiunque di noi ha pensato che un giorno anche il suo nome entrerà (certus an, incertus quando) nel collage dei manifesti funebri per poi inabissarsi nell’oceano dell’oblio.

Ridestato, fatti i dovuti scongiuri ha ripreso con disinvoltura la vita terrena, senza fare tesoro dell’ammonimento, sopraffatto dalla quotidiana mediocrità della condizione umana.

A volte, però, anche la macabra pratica della lettura dei necrologi può riservare delle sorprese. Mi è capitato così che giorni fa, passando alla larga dal temutissimo cartellone, sono rimasto fulminato dalla frase apposta su di un manifesto funebre (che spero di ricordare bene): “amante delle lettere e della sua città”. Ho alzato lo sguardo ed ho visto che si trattava del necrologio del preside Orazio Gnerre.

Persona molto conosciuta a Benevento, amico di mio padre e papà di un mio amico di infanzia, il caro Corrado.

Mi sono ritornati in mente dei ricordi, anche se sfumati e nebulosi.

Il libro di grammatica latina del preside Gnerre sul quale, se non erro, ho studiato alle medie. Semplice, diretto, ben scritto.

La sua inconfondibile figura di persona. Altissimo e magro, dal sorriso bonario e rassicurante; lo incontravi spesso per Benevento e ti sembrava uno di famiglia.

La sua curiosità di bambino per le cose della vita, la passione per le amate lettere e la storia, specialmente quella della Regina del Sannio; il tutto condito con una semplicità disarmante, con un approccio empatico, mai supponente; con l’intelligenza di chi ha saputo sempre mettersi al livello del suo interlocutore.

Insomma, umile ma non modesto. Persona di grandissimo spessore.

Ricordo il caro Corrado, - che oggi continua a percorrere la strada del papà come brillante professore, mosso da un profondo senso di religiosità, - in interminabili partite di pallone. Anche in questa pratica sportiva eccelleva per capacità tecnica, visione di gioco e grandissima correttezza, che si notava maggiormente dato l’ambiente non proprio di gentlemen composto da noi ragazzi dell’epoca.

Sempre signorilmente richiamati se ci scappava qualche epiteto in slang beneventano. Era già più maturo di gran parte di noi.

Ecco, in quella bellissima frase, con diretta sinteticità è racchiusa una Persona fortunata in vita, intensamente percorsa anche e soprattutto come spirito, ed in morte, che ne costituisce un momento importante, perché i suoi Cari lo hanno ricordato proprio come Lui avrebbe voluto.

Quella frase è Orazio Gnerre.

La dimostrazione che anche da un manifesto funebre si può apprendere una grande lezione di vita.

UGO CAMPESE