Salvare la Provincia In primo piano
La grande crisi della comunità nazionale è espressa egregiamente dalla qualità del personale politico liberamente eletto da chi si reca ancora a votare. La scomparsa dei partiti rappresenta drammaticamente l’eclissi della democrazia. Anche a livello nazionale la identificazioni dei gruppi di interesse avviene attraverso il nome del personaggio trovatosi per caso a comandare una ristretta oligarchia non vagliata da nessun setaccio elettorale. E’ scomparsa dalla nomenclatura addirittura la stessa parola Partito.
Come è possibile, allora, quella funzione di rappresentanza degli interessi locali in competizione/conflitto con i titolari di pari interessi? La libertà individuale dei parlamentari nazionali o regionali è pari a quella dei consiglieri comunali costretti e tenersi stretto il gruzzolo di gettoni e il tasso di popolarità garantito dalla presenza del nome nelle pur misere cronache giornalistiche. Su questioni rimaste appese, dopo riforme vanificate dai referendum abrogativi, il massimo che possiamo scorgere è lo strumento della interrogazione parlamentare. Che si riduce a chiedere quello che già si sa, sapendo peraltro che in una banale tautologia si risolverà anche la risposta (se pure arriverà).
E’ il caso della Provincia. Prima soppressa, poi riorganizzata mediante una riduzione numerica, poi sospesa nel vuoto e tenuta in piedi come un comitato locale di secondo grado, espressione non già della volontà popolare ma del potere costituito dalle amministrazioni comunali. Non è il parlamento allo stremo che può fornire una soluzione. Ma intanto…
Una proposta “interessata” ma non scandalosa noi l’abbiamo lanciata, discussa in convegni anche presso sedi di partito. Ed è corroborata da dati certi. Se in Italia si vuol ridurre il numero delle province, magari fermandosi a 50 (ma intanto ci si è sbracati con le città metropolitane), la Regione Campania con quasi sei milioni di abitanti può conservare le sue cinque province (quella napoletana assorbita dalla Città Metropolitana). Almeno su questo De Luca e Mastella se la sentono di impegnarsi e lasciare il segno, a beneficio anche di prole politica lanciata in prospettiva?
Ognuno si fornisca di carta e penna e con l’aiuto di una calcolatrice prenda la popolazione di ogni regione e la divida per il numero delle sue province. Scoprirà che i Campania, mediamente, c’è una provincia per più di un milione di abitanti. Per quale motivo la Lombardia ne ha dodici e in Campania la Camera di Commercio di Benevento, la Banca d’Italia e CISL e CGIL si sono affrettate ad accasarsi ad Avellino? Che ci guadagna Avellino dalla scomparsa o declassificazione della provincia di Benevento? Ad Avellino nessuno toglie Prefetto, Questore, Tribunale e Banca d’Italia nonché i comandi delle forze di polizia e degli altri uffici statali. La nostra idea di mantenere le cinque province così come sono non sottintende alcun trucco o alcuna iniziativa furbesca.
Intanto Benevento è penalizzata da questo stato di incertezza nel quale si opera per scopi privatistici di breve momento. Ed è Benevento che deve interrogarsi ed esprimersi. A che servono i nostri deputati e senator e consiglieri regionali se non si incontrano tra loro e non adottano un linguaggio comune a difesa di uno status quo assolutamente sostenibile per le ragioni già dette?
Una volta tanto Benevento non chiede niente a nessuno, non pretende allargamenti territoriali, non intacca interessi e prestigio delle altre province. E’ possibile che il Consiglio Comunale di Benevento (dico Benevento) resti indifferente e non abbia mai pensato che ne va anche del suo prestigio?
Il migliore augurio che possa farsi a chi il 28 luglio sarà eletto presidente della Provincia è quello di impegnarsi in una azione politica che porti alla rideterminazione delle province con il recupero di tutto quanto da essa consegue.
MARIO PEDICINI