Walter Vetere. Quel gran genio del mio amico In primo piano

Ogni mattina, mentre mi rado, ascolto la radio. E’ una abitudine, sedimentata negli anni, che permette di affacciarmi al nuovo giorno con l’animo ben disposto.

Qualche giorno fa, fra le canzoni che ho ascoltato, è passata “Sì Viaggiare” di Lucio Battisti con il suo indimenticabile incipit:

Quel gran genio del mio amico,

Lui saprebbe cosa fare, …”.

Da lì il pensiero, non so come e perché, è planato su “Quel gran genio del mio amico” che non c’è più.

Avete mai conosciuto un genio? Io credo di avere avuto questo privilegio. Una esperienza unica, esaltante, certamente non facile.

Il genio è una persona libera dagli schemi comportamentali in cui è ingabbiata la vita dei suoi simili. Perciò, a prima vista, può apparire bizzarro, stralunato, fuori dal mondo.

E’ spesso oggetto di invidia e cattiveria, deriso ed isolato, perché costituisce la cartina di tornasole della mediocrità altrui.

Quel gran genio mio amico si chiamava, anzi si chiama (perché continua a farmi compagnia), Walter Vetere.

Negli anni 80 era uno dei migliori commercialisti al quale il Tribunale di Benevento affidava importantissimi incarichi in materia di procedure concorsuali.

Proprio una procedura è stata l’occasione della nostra conoscenza: io mi affacciavo alla professione forense, lui era un’autorità in materia fallimentare.

Il primo incontro mi ha conquistato. Oltre alla semplicità dei modi, mi ha affascinato l’approccio informale, diverso da quello professionale un po’ ingessato. L’entusiasmo, la vivacità di ragionamento, l’originalità di ricerca delle soluzioni, l’immediatezza nel disegnare scenari e la velocità nell’individuare risposte.

Data la complessità della procedura, con molteplici risvolti giuridici ed economici, i nostri incontri sono divenuti quasi un’abitudine settimanale per aggiornare la strategia della sua gestione. Tutto doveva avvenire al momento giusto, ogni aspetto doveva tenere conto dell’altro e coordinarsi con esso.

Il successo di questa singolare opera di ingegneria giuridico-economica, che ricordava un po’ la sincronia degli ingranaggi degli antichi argani di legno, dipendeva dal tempismo dell’intervento, dalla bontà delle scelte, dal metodo di lavoro e dalla velocità di esecuzione.

Laddove io impiegavo giornate di approfondito studio per focalizzare specifici aspetti della procedura il caro Walter mi anticipava con il suo formidabile intuito. Per lui la ricerca della soluzione non era il problema; era questa a trovarlo. Percorreva la strada ritroso: partiva dalla risposta, arrivava alla domanda sviluppandone il ragionamento. Tutto il contrario di un “normale” iter argomentativo.

Confesso. All’inizio è stata dura. Ho dovuto adeguarmi al lampo dell’intuizione, all’inversione del ragionamento che porta alla soluzione. Poi, mi si è aperto un mondo.

La procedura si è chiusa con successo e grandissima soddisfazione. Si sono incasellate tutte le tessere del mosaico nel disegno tracciato.

I nostri rapporti si sono intensificati anche perché successivamente siamo diventati dirimpettai di studio nello stesso palazzo.

Lui, da Uomo libero, ad un certo punto della vita ha deciso di abbandonare la professione, di ritornare a calcare le aule scolastiche con le sue affascinanti lezioni di economia e di diritto, di coltivare le passioni da troppo tempo sacrificate.

Il suo studio, che nell’elenco telefonico era indicato come “asilo economico di Walter Vetere” (“asilo” dal significato latino di rifugio, ricovero), come d’incanto si è trasformato: la stanza della musica, la stanza delle piante, la stanza dei quadri, la stanza dei componimenti letterari, la stanza dove studiava l’andamento della borsa e dell’economia anche sulla base di parametri filosofici e sociologici.

Ripeteva spesso: sono un economista, non un commercialista che inserisce dati nel computer; sono un artigiano, non una sigla o uno studio boutique.

Molti pomeriggi bussava al mio studio “obbligandomi” ad una breve pausa per prendere insieme un gelato. In questo tempo rubato alla routine lavorativa mi parlava (eravamo negli anni 90!) di villaggio globale, di internet, di filosofia applicata all’economia, di arte, di letteratura.

Era troppo avanti per tutti, specialmente per i suoi colleghi, che lo ritenevano persona eccentrica, oramai fuori dal mondo professionale, e, quindi, non interessante.

Io, invece, avevo la fortuna di succhiare il nettare della sua genialità.

Caro Walter sapessi quanto mi mancano le nostre passeggiate, le conversazioni non sporcate dagli interessi professionali ed economici.

Vedo la porta del tuo vecchio studio, di fronte alla mia, e spero che esca per riprendere quella sana abitudine. Ma la porta resta chiusa.

Ti ringrazio per il tratto di strada che abbiamo percorso insieme. Mi hai indicato la direzione da seguire, poi, con il sorriso da poeta maledetto alla Baudelaire, te ne sei andato. Con discrezione, in silenzio, nell’indifferenza dei tanti che prima ti assillavano con le loro angosce.

Si sa, la memoria dell’uomo è breve, ma il genio riempie la vita cogliendone aspetti preclusi a noi “persone normali” e non facendo affidamento sulla riconoscenza altrui.

Gli basta il dono che ha ricevuto e, forse, il ricordo di un amico.

Ogni volta che mi trovo a sbattere la testa su questioni complesse penso a “Quel gran genio del mio amico, Lui saprebbe cosa fare, …”.

E la nebbia si dirada.

UGO CAMPESE