Società - Fortuna e sfortuna delle parole/3

Fortuna e sfortuna delle parole/3 Società

Poiché una parola tira l’altra, eccomi pronto a piluccare ancora tra gli scherzi dell’etimologia sulle parole che vengono utilizzate nel dialetto beneventano. Prima di entrare nel vivo delle parole che analizzerò, vorrei far notar un particolare che non è di poco conto. Tutti sanno, e nessuno se ne meraviglia, che l’italiano ha, nel corpo delle parole, ora consonanti semplici e ora consonanti doppie, e le scrive semplici o doppie secondo il caso: in pena, sego, caro ed altre ancora, tutte le consonanti sono semplici; ma in penna, seggo, carro le consonanti sono doppie e quindi cambiano completamente il significato delle parole. Il dialetto beneventano segue tale caratteristica più nella pronuncia che nella scrittura. Da una osservazione attenta notiamo che un piccolo segno grafico quale possa essere l’accento ( ‘ ) ha la caratteristica di rafforzare il suono soprattutto con le parole tronche. Un esempio: u ciuc’ ( ndr: la pronuncia della consonante “c” finale deve essere dolce in quanto preceduta da una doppia vocale). Fornirò elementi più dettagliati circa la pronuncia delle parole dialettali con un articolo specifico, in quanto ho ancora in studio tutta una nomenclatura di parole che devono essere sottoposte ad una severa analisi per inquadrarle successivamente in un contesto di regole grammaticali.

Questa volta la mia attenzione si è fermata su “ u taùt”. Si la bara! Questo involucro di legno che “proteggerà” le spoglie mortali del defunto. L’origine di questa parola non è di facile collocazione. Può essere di origine araba (tabu’t), ma può essere di origine spagnola (ataut). Hanno comunque un significato comune: “contenitore”, “scrigno”. Entrambe le origini sono tutte giustificate anche dal punto di vista storico. Sappiamo bene come le incursioni saracene nel territorio del principato longobardo di Benevento fossero frequenti. Altrettanto bene conosciamo la dominazione spagnola a Napoli. Ebbene, poiché l’etnia araba e l’etnia spagnola hanno convissuto per secoli, non ci meraviglia la doppia origine di questo termine. Non escludo, inoltre, l’ipotesi che tale termine possa avere una provenienza greca. Infatti “ thapto” in greco vuol dire seppellire. Ho la convinzione che tale etimologia sembra meglio adattarsi al beneventano “taut”. Un altro termine che mi ha fortemente incuriosito, ovviamente sempre dal punto di vista etimologico è : “u nzallanùt”, “chil’ è zallanùt”.Con questo termine si vuole definire una persona alquanto confusa, intontita, stonata. Sulla sua origine varie ipotesi si affacciano all’orizzonte etimologico: una latina, l’altra greca. Il paradigma latino è: insanio, ivi o ìì, itum, ìre. Dunque insanire vuol significare, essere demente, pazzo, frenetico. I latini dicevano:” insanire libet quondam tibi, posto che a te piace fare il pazzo”. Da “insanire” a “ nzallanire” il passo è breve.

Il termine greco “zalaino”, cioè stolto, demente non mi pare del tutto inappropriato. Ma l’accredito maggiore, a mio avviso ce l’ha “seleniao” altra parola greca. Tale termine si attribuisce a persona lunatica. Si perché luna in greco è: “ sele′ ne′ ” Spero di non avervi “′zallanuto”troppo! E che dire delle “ sciucquaglie”. “ I che bel′ scucquaglie se mis′ ”: o che bei oggetti preziosi indossa. Oggetti preziosi con cui le donne si adornano le orecchie e il collo. Infatti gli orecchini e i pendenti in genere, vengono identificati in “sciucquaglie”. Il termine è di indubbia derivazione spagnola: “chocallos” (pronunciasi ciocallos) vuol dire appunto, pendente molto prezioso. Troppa dominazione straniera sulle nostre terre sannite!

Claudio Reale