Servono lezioni di educazione civica digitale Società

L’epoca in cui viviamo, a detta degli esperti, è quasi certamente la meno violenta di tutti i tempi. Escludendo le zone di guerra ed un limitato numero di nazioni dove operano gruppi criminali o terroristici che colpiscono gli stranieri in maniera mirata (come ad esempio la Colombia), oggi un turista può viaggiare in lungo e in largo per tutti i continenti senza temere di essere assalito da predoni lungo la strada. I paesi occidentali, ma non solo, sono in pace tra loro e le guerre in corso sono senza dubbio meno numerose di quanto non lo fossero anche soltanto un secolo fa.

Esiste la minaccia globale del terrorismo, ma se andiamo a vedere i numeri, statisticamente è più probabile morire colpiti da un fulmine che non da un attentato. Dunque, questo inizio del 21° secolo è il periodo più pacifico che l’umanità abbia mai conosciuto.

Eppure, mai come oggi l’uomo è sottoposto alla visione pressoché quotidiana di immagini violente, sia reali che fittizie. I notiziari non mancano di informarci ogni giorno di guerre, omicidi, crimini efferati, spesso accompagnando i servizi con filmati espliciti, magari ripresi direttamente dai testimoni con i loro smartphone.

Tutta questa esposizione alla violenza può avere effetti deleteri, in special modo sui più giovani. In via generale, possiamo dire che tanta violenza esibita a tutte le ore tende a desensibilizzare gli spettatori. I filmati delle stragi, delle sparatorie o degli incidenti stradali ai nostri occhi non appaiono più così diversi dalle scene di un film, che anzi magari sono perfino più realistiche. Quindi, assuefatti alla violenza, smettiamo di domandarci se sia reale oppure meno e vi assistiamo in maniera distaccata.

Ancora peggio, la violenza può causare emulazione. Sotto quest’aspetto, sono i giovani (e in particolare i giovanissimi) i soggetti più a rischio: scene violente nei tg, nei film o nei videogiochi, possono indurre ad imitare i comportamenti violenti.

Senza volerli demonizzare, i videogiochi rappresentano il pericolo maggiore, poiché implicano una partecipazione in prima persona. Tra i generi videoludici più popolari, ve ne sono alcuni che fanno della violenza il fulcro intorno a cui ruota ogni cosa.

I picchiaduro sono una categoria di videogame nel quale il giocatore sceglie un personaggio e deve combattere a mani nude contro un avversario dopo l’altro. Gli sparatutto in prima persona invece consistono in una serie di missioni da svolgere nelle quali si deve uccidere il maggior numero possibile di nemici; che si tratti di un gioco di guerra, di spionaggio o di fantascienza, tutto è mostrato con riprese in soggettiva (sullo schermo appaiono in primo piano le mani del protagonista che impugnano le armi), in maniera tale da avere l’impressione di essere immersi nell’ambiente di gioco. Vi sono poi casi estremi di videogiochi nei quali ci si cala nei panni di criminali e l’obiettivo è commettere una serie di reati sempre più eclatanti per scalare i vertici della malavita.

L’esposizione a dosi così massicce di violenza in un’età nella quale non si è ancora capaci di elaborare e di distinguere il reale dal virtuale, sono probabilmente alla base di certi comportamenti che agli occhi degli adulti risultano inspiegabili, come avviene nei casi in cui minorenni aggrediscono e bullizzano i propri coetanei pubblicando poi in rete i video delle loro gesta.

Questi ragazzini trascorrono gran parte del tempo nella solitudine delle loro camerette, eppure contemporaneamente immersi all’interno di una comunità, sia pure virtuale, che abbraccia a volte il mondo intero.

È il paradosso della società digitale, che include anche i social network. Nulla ci spaventa di più della solitudine, dunque abbiamo bisogno di essere costantemente in una community. Tuttavia, per dedicarci a queste attività social finiamo per isolarci dalla realtà che ci circonda e soprattutto perdiamo di vista il valore della solitudine, che può essere un valido momento di riflessione.

Avremmo pertanto bisogno, in primis i giovani, ma in generale tutti coloro che si ritrovano ad essere schiavi dei social, di ricevere lezioni di educazione civica digitale, per imparare a gestire la nostra vita e la nostra identità virtuale, ma anche per capire quando distaccarcene e tornare ad inserirci nella vita reale.

CARLO DELASSO