Ultime alchimie per la provincia Società

Il Consiglio Regionale della Campania si è riunito a Benevento per un solenne “rito”. All'uomo della strada, socraticamente certo di non sapere, non appare chiaro se si sia trattato di un solenne pontificale ovvero di un mesto funerale.

Assente il presidente della Regione (una volta detto anche “governatore”) e, con lui, non pochi consiglieri, il “parlamento regionale” non ha saputo far altro che invitare la Giunta, cioè Caldoro, a fare ricorso alla Corte Costituzionale affinché in Campania possano restare una città metropolitana (Napoli) e 4 province. Ma nessun accenno ai possibili criteri che possano sorreggere simile impianto.

Ricapitoliamo. La norma sfornata dal governo Monti vuole, per la sopravvivenza delleprovince, due requisiti: 250mila chilometri quadrati di territorio e 350mila abitanti. Ogni provincia esistente dovrà confrontarsi con questo “calibro”. Benevento ha 282mila abitanti. Potrà pure avere un milione di chilometri quadrati, è spacciata. A chi si accorpa? Alla provincia, tra le restanti, confinante più piccola, cioè Avellino. Non può aggregarsi a Napoli, che come provincia scompare per dar vita alla “città metropolitana” (invenzione della legge 142 del 1990). Non è necessario gonfiare Caserta che è sufficientemente grande per resistere. Salerno non ha punti di contatto.

Chiariamo. Qui non si discute se le province debbano restare o debbano essere (tutte) soppresse. Legittimo il dibattito in tale prospettiva (visti i danni che hanno fatto e quel che ci costano, sarei per l'abolizione delle regioni), ma oggi si deve ragionare avendo per tema la proposta governativa esistente. Che è quella di dimezzare il numero delle province, portandolo a una cinquantina.

Su questa operazione bisogna fermare l'attenzione. Noi abbiamo suggerito (Realtà Sannita on line) di ricorrere ad un metodo logico, razionale, obiettivo. Ogni territorio (ad esempio una regione) è preso nel suo complesso e la conferma di una provincia è commisurata al possesso di un determinato patrimonio di residenti.

Lo rendiamo esplicito e comprensibile a tutti. Facciamo conto che bisogna “eleggere” 50 province in tutta Italia. Si stabiliscono i collegi e il “quoziente elettorale”. Prendiamo le regioni come collegi. Il quoziente elettorale è dato dal numero totale dei cittadini italiani diviso per 50.

Gli italiani sono 60 milioni? Il quoziente elettorale è (60milioni diviso 50) 1 milione e 200mila.

A questo punto ogni regione avrà tante province per quante volte 1milione e duecentomila sta nel totale della sua popolazione.

La Campania, con 5milioni e 800mila abitanti, avrà quattro province con quoziente pieno e un “resto” altissimo. Cioè può conservare le sua attuali province, pur giocando come vorrà per la edificazione della città metropolitana.

Non mi sono inventato niente. Ho utilizzato il metodo D'Hondt per le elezioni con metodo proporzionale, che si studiava una volta all'Università. E chi ha fatto lo scrutatore o il rappresentante di lista si sarà lette le istruzioni del Ministero dell'Interno. Insomma il sistema proposto è di facile comprensibilità. Esso, peraltro, prevede anche come utilizzare i “resti”.

E' di chiara evidenza il vantaggio di una simile soluzione, non solo per noi di Benevento che siamo i principali interessati, ma anche per Avellino alla quale si eviterebbe (ciò che prevede il criterio Monti) la beffa della sopravvivenza della provincia e la perdita del comune capoluogo. Ve l'immaginate voi una provincia di Avellino con Benevento capoluogo?

Voglio dire che la Regione Campania si trova oggi nell'invidiabile posizione di non chiedere l'elemosina, ma anzi di proporsi come modello virtuoso, poiché non si è sbracata a fare nuove province.

Una volta tanto non chiederemmo eccezioni e deroghe, né trattamenti di favore. Vista dal lato dei numeri, la soluzione prospettata è insospettabile. Chiaro, però, che fa comodo a Benevento e ad Avellino, nonché a Caserta.

Direte: ma ti scordi l'ipotesi del Molisannio, di cui pure hai scritto?

Rispondo, con una precisazione. La mia proposta prevedeva due fasi. Prima viene la “salvezza” della provincia di Benevento e, poi, la trattativa con Campobasso per discutere l'ipotesi di Molisannio. Monti, però, ha leggermente cambiato le regole del gioco. Quando io scrivevo di giocare la carta Molisannio, i requisiti della popolazione provinciale erano fissati a 300mila. Benevento con 280 e il Molise con 320mila ci stavano giusto giusto. Per stare un po' più sicuri proponevo di trattare per l'arruolamento dei comuni alifani e di quelli della Valle Caudina, con una “spruzzatina” di Daunia.
E' evidente che la proposta di giocare col metodo D'Hondt rende francamente impraticabile ogni discorso di Molisannio, perché salterebbe in aria la stessa regione Molise.

Ove, però, la Regione Campania usasse la mia proposta come arma di pressione per ottenere, comunque, la stabilizzazione dello status quo (e cioè la conservazione della provincia di Benevento con gli attuali numeri), la così “sopravvissuta” provincia di Benevento dovrebbe portare in dote a Campobasso almeno altri 70mila abitanti, e Campobasso se ne dovrebbe procurare per parte sua almeno altri 30mila. Dove si possono trovare centomila italiani abili e arruolabili?

Ma torniamo sempre al punto di partenza. Prima viene, come che sia, la salvezza della provincia. Senza questa “dote” (da impinguare, come appena detto) non ci sarebbe speranza alcuna di approdare in Molisannio.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it 

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