SAN GIORGIO DEL SANNIO - Presentato il libro 'Russia-Croazia 7 a 1' scritto da Giuseppe Romano In primo piano

Alla presenza di un folto e attento pubblico è stato presentato l'11 marzo, Al Cilindro nero di San Giorgio del Sannio, il libro Russia-Croazia 7 a 1 del preside Giuseppe Romano. L'incontro è stato moderato da Cosimo Caputo e, dopo i saluti di Nicola De Ieso, è intervenuto con un sapiente proemio il sindaco Mario Pepe.

Peppino Romano, già professore e preside profondamente impegnato nella formazione, è considerato, nel vulgus della cittadina sannita, l’anima popolare, una sorta di cantastorie, un menestrello della penna, colui che osservando luoghi e dimoranti, in maniera apparentemente disincantata, ne sa cogliere pensieri e raccontarne le storie. E scovando tra i rovi, ha pensato e scritto tanto libri. E, pensavo anch’io, ora ce ne porge un altro, magari prendendo spunto da una partita di calcio.

Ma, chiudendo la serata, ha chiarito la faccenda.

Il libro è un viaggio, un viaggio pensato, vissuto e raccontato proprio come ricordo di viaggio. Una narrazione che vaga tra San Pietroburgo e Mosca, magari anche lì alla ricerca del genius loci sovietico, questa volta con la dovuta cautela del caso. Narrazione tersa, serrata, avvertita come un esame. Già proprio lui, il professore e preside, all’esame con la propria anima.

Il viaggio come sublimazione di un linguaggio, come ha ricordato Mario Pepe, un linguaggio che nella narrazione si storicizza. Ma anche un’indagine che acuisce sensibilità, in confronto ai maestri della letteratura russa, sia classici sia moderni, quelli che prima hanno raccontato la grande madre e poi ne hanno ricordato le atrocità. Russia madre e matrigna. E lui passeggiatore attivo, certo, ma che attraverso la locale effervescente occupazione del raccontare il passare delle ore non ha fatto altro che prepararsi al grande evento. Come a dire che i topos hanno sempre le stesse radici e che la natura umana solo ad un osservatore distratto può presentare differenze insondabili e incolmabili. E dunque sensibilità e curiosità nell’osservare, ma maturità nel raccontare.

Grandezza e sofferenza nella grande madre Russia, racconta Peppino Romano, e volontà e nello stesso tempo incapacità di un popolo di inviare messaggi tranquillizzanti ad un occidente arido e svagato, come se però si volesse trasmettere un ricordo che sa più di rassegnazione. E che, come se si volesse avvertire chi vive oltre la cortina, una cosa sono le ideologie e le fedi che si ingenerano e una cosa è poi metterle in pratica, quando anche le più belle scuole di pensiero si trasformano in lager dove anche la più insignificante briciola di umanità viene annientata. E dunque ogni volta diventa necessario ricominciare, e partire dalla koinè di tutte le cose, da una forma primigenia che ci riporta a una più connaturata solidarietà di intenti.

Un lavoro prezioso, quello di Peppino Romano. Ma dov’è finita la sua antica verve di narratore smaliziato di vicende native? S’è perduta per sempre? Macché.

Il titolo, quello che ricorda una partita di calcio, ce ne dà invece una conferma. Sette giorni in Russia e uno in Croazia. Come a dire che la capacità dello scrittore di razza sta proprio nello stuzzicare la curiosità del prossimo, per portarlo al proprio ovile, sia che si parla, con tutto il rispetto, di scene di mercato, sia di questioni che rimandano ai massimi sistemi.

Ubaldo Argenio

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