SOGNA RAGAZZO, SOGNA In primo piano

Nelle scorse settimane è stato pubblicato un articolo in cui si evidenziava che il paese di Circello primeggia nella provincia di Benevento per l'alta percentuale di diplomati e laureati nella fascia di età tra i 25 e i 45 anni, addirittura l'84%. Certamente un bel primato e di questo ne siamo tutti ben fieri.  

In tanti sui social hanno gioito per questa notizia veramente eccezionale, anche perché rientravano in questo fortunato gruppo.  Ma volendo fare la parte del diavolo, chiedo: in quanti hanno pensato di dire grazie ai propri genitori per avergli dato la possibilità di frequentare gli istituti di scuola superiore ed anche l'università, considerato che nel nostro paese non tutti hanno entrate tali da poterselo permettere? Ma soprattutto in quanti si saranno fatti la domanda avendo fatto un determinato tipo di studi, oggi svolgo il lavoro per cui ho fatto dei sacrifici? E dove sto lavorando, se lavoro, nella mia provincia o in giro per il mondo?

Ecco, questo primato induce veramente a pensare ma negli ultimi 30 anni i governi locali che prospettiva di lavoro hanno creato per questa fascia di età che primeggia in provincia?            

Una riflessione in tal senso è stata pubblicata qualche giorno fa sul giornale Primo Piano Molise che allego e vi invito a leggere.                                                                                                                          

ALFONSO TATAVITTO

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TRAVOLTI DAL SOLITO DESTINO

Le vacanze di Pasqua sono state l'ennesima occasione di riflessione per noi, immigrati di nuova generazione, sempre in bilico tra il partire e il restare. Viviamo il conflitto esistenziale dei nostri nonni che sono partiti prima di noi per poi tornare sulle erre del sacramento, sulle terre lavorate dagli avi per costruire un nuovo futuro per i loro figli. Ma questo futuro non è ancora arrivato.

Noi, ragazzi tra 25 e 35 anni, dopo aver studiato, dopo aver versato lacrime di gioia con i nostri genitori e nonni per le agognate lauree, segno di riscatto di intere famiglie, versiamo nuove lacrime, quando, dopo innumerevoli colloqui e curricula, siamo costretti a ripetere la scelta dei nostri nonni: partire.

L'occasione di lavoro è a Milano, a Padova, a Brescia o in qualunque altra città del nord. Contratti a termine con possibilità di rinnovo, la supplenza annuale, contratti trimestrali, affitti esorbitanti, accettiamo tutto pur di dare un senso agli anni di studio e sacrificio. Accettiamo tutto in cambio di una parvenza di indipendenza, di una sospirata affermazione personale. Seduti nei nostri monolocali, negli appartamenti condivisi, ci sentiamo sospesi tra il mondo in cui stiamo ritagliando il nostro spazio e i nostri paesi d'origine. Combattuti tra amore e odio.

E poi a Natale, a Pasqua, nei ponti ritorniamo a mangiare il pane casa. Ritrovi il paese con la sua piazza e i suoi bar, immobili, come se nulla fosse cambiato. La tua partenza, così come quella di altri venti, trenta ragazzi non fa sorgere alcuna domanda in chi, questi luoghi li amministra da anni. Non nascono più bambini nei nostri paesi, ma non importa perché sono arrivati i fondi PNRR per costruire una nuova scuola che rimarrà irrimediabilmente vuota tra qualche anno. I ragazzi comprano casa nelle grandi città per non tornare mai più, ma non importa perché in estate ci sarà il convegno sulle opportunità di sviluppo del territorio, la passerella delle buone intenzioni che restano da sempre e per sempre buone intenzioni. Un altro artigiano chiude ma non importa perché a Natale faremo il presepe vivente ricordando i mestieri antichi.                                              

E i pochi rimasti resistono, resistono in mezzo al nulla che erode tutto, anche le loro speranze, perché i loro figli partiranno.

Giovanna Paradiso