Le comunità energetiche, risorse per il territorio Ambiente

Ne parliamo con Maurizio Sasso, ordinario in Fisica tecnica industriale presso il Dipartimento d’Ingegneria dell’Università del Sannio, sin dal 2011 partecipa ad incontri istituzionali sul tema delle energie rinnovabili, sottolineando ovunque che ″Comuni e Cittadini devono essere Attori del cambiamento e non subirlo passivamente″. Oggi è in prima linea per lo sviluppo delle Comunità energetiche rinnovabili solidali, che oltre a ridurre lo spopolamento dei Comuni delle aree interne con meno di 5.000 abitanti, permette loro di accedere alle risorse previste dal PNRR per combattere la povertà energetica ed aiutare i soggetti vulnerabili. Il suo punto di vista non poteva dunque mancare nel dossier che Realtà Sannita sta dedicando alla transizione energetica ed ecologica.

Professor Sasso, le comunità energetiche vengono oggi considerate come una tecnologia abilitante per la transizione energetica. Spieghiamo perché.

La transizione energetica ha degli obiettivi molto ambiziosi in termini di sfruttamento di fonti rinnovabile, di contenimenti dei consumi energetici e delle emissioni di gas climalteranti. Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) fanno uso esclusivamente di tecnologie di conversione alternative e se adeguatamente progettate e gestite, permettono il contenimento dei consumi energetici dei membri della Comunità e, quindi, delle loro emissioni di CO2.

Quali i vantaggi concreti che possono determinare, non solo per il sistema elettrico nazionale ma soprattutto per gli utenti e per la collettività?

Le CER possono ridurre la bolletta energetica dei membri poiché è incentivata l’energia elettrica ″condivisa″: quella, cioè, prodotta dall’impianto di comunità e consumata dai membri della stessa. Questo vantaggio economico è particolarmente importante per combattere la povertà energetica ed aiutare i soggetti vulnerabili, criticità accentuate già durante il Covid e più recentemente dall’incredibile incremento dei costi dei vettori energetici durante il conflitto russo-ucraino. Le Comunità Energetiche Solidali si prefiggono questo come scopo primario. Da qui la continua sollecitazione ai sindaci a far nascere CER anche con questa nobile finalità.

Esistono altri vantaggi conseguenti allo sviluppo di una CER?

Sicuramente, tra cui quello di contribuire alla distribuzione sul territorio di colonnine di ricariche di auto elettriche, rimuovendo il cosiddetto ″collo di bottiglia″ che condiziona la e-mobility.

In che modo è possibile trovare un equilibrio tra le richieste di nuovi impianti eolici e fotovoltaici e le aspettative delle Associazioni ambientaliste impegnate nella salvaguardia del proprio territorio?

Già nel 2011 ci siamo interessati alle tecniche di gestione, spesso riconducibili ad Enti locali, premianti per la collettività e per rimuovere le criticità di ″accettabilità sociale″ degli impianti, in seguito all’esperienza di pianificatori energetici e alle difficoltà dell’eolico in particolare nel Fortore. Le Comunità energetiche possono dare un contributo significativo alla valorizzazione delle fonti energetiche di un territorio, promuovendo e garantendo ex ante la partecipazione dei cittadini, che hanno immediati benefici economici nelle scelte sull’ubicazione e la tipologia di impianti energetici. Le fonti energetiche rinnovabili sono per definizione distribuite sul territorio e, quindi, anche i relativi impatti -quali quelli acustici e visivi- interessano ampie aree geografiche.

Chiariamolo con un esempio.

RSE, Ricerche di Sistema Energetico, stima che il programma FIT55 dell’UE determinerà, solo al Sud e nelle Isole, un incremento della potenza installata eolica nel 2030 di 11,2 GW (+118%) rispetto al 2021. Molto grossolanamente questo incremento può essere quantificato in più di 1.800 nuovi aerogeneratori da ubicare nelle Regioni del Mezzogiorno. Per questo motivo alcune associazioni ambientalistiche, quali ad esempio Legambiente, sono molto impegnate nello sviluppo e nella promozione sui territori di CER che permettano una maggiore valorizzazione del territorio ed il corretto sfruttamento delle sue risorse.

Si registra infatti in molti comuni un interesse spasmodico a formare Comunità energetiche: è una tendenza legata solo ai possibili finanziamenti o ad una visione globale più ampia?

La mia esperienza personale mi fa propendere più su in interesse disinteressato animato dalla volontà di promuovere economicamente e socialmente il territorio che amministrano. Mi capita spessissimo d’incontrare sindaci di Comuni interessati all’argomento e di effettuare interventi per informare i cittadini. A partire dal 2022 sono stato invitato a quindici eventi per informare e formare cittadini ed operatori sul ruolo e le finalità delle Comunità Energetiche. Ho incontrato amministratori giovani e impegnati che sentono vivo il senso di Comunità ai quali ho indicato anche le potenzialità delle CER di attrattori di risorse e di popolazione per combattere lo spopolamento soprattutto delle aree interne. Devo dire che in qualche modo abbiamo contribuito a questo interesse ″spasmodico″ inserendo nel Piano Energetico Ambientale Regionale una specifica azione sulle CER (1.1.3.21 Energy Community) nonché stimolando l’Amministrazione regionale alla emanazione di un bando di grande successo che finanzia la nascita di nuove CER in Comuni con meno di 5.000 abitanti, anche per permettere loro di accedere alle notevoli risorse previste dal PNRR (Attuazione della dgr 451/2022 - Avviso per la concessione di contributi a favore dei Comuni campani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti per la promozione della costituzione di comunità energetiche rinnovabili e solidali″).

Per i Comuni quali sono i reali vantaggi, considerato che oltre a produrre energia bisogna poi assorbirla?

Oltre al vantaggio economico legato agli incentivi per l’energia consumata dalle utenze comunali durante il funzionamento dell’impianto rinnovabile, nella mia esperienza ho verificato una vastissima casistica di opportunità che i Primi cittadini vogliono cogliere con la CER: c’è chi si prefigge di attrarre nuove famiglie in paesi con criticità anagrafiche, come in Sardegna; chi immagina con l’energia rinnovabile della CER di alimentare barche da diporto elettriche, come in costiera Amalfitana o veicoli elettrici per attrarre turisti, come in Liguria. Io ritengo che gli Enti Pubblici debbano sempre connotarsi come luogo dove le buone pratiche, in questo caso energetico-ambientali, si applicano per formare la coscienza del cittadini amministrati.

L’assorbimento d’energia elettrica, può rappresentare un limite in zone in cui la domanda non sembra essere sufficiente, ad esempio per mancanza di un tessuto produttivo locale?

I progettisti di CER stanno con difficoltà capendo che molta attenzione va ora rivolta non solo alla producibilità degli impianti, ma anche alla contemporanea esistenza di adeguati consumi. Questo rappresenta un evidente limite, soprattutto per le piccole comunità, che tra l’altro beneficiano del PNRR, non solo per il deprimersi dei consumi ma soprattutto per la loro marcata connotazione di tipo residenziale. Per ovviare a questo problema noi consigliamo di non considerare solo il fotovoltaico, la cui producibilità risulta fortemente variabile, di aggregare utenze diverse, per esempio artigianali e commerciali, per beneficiare di carichi costanti e, infine, di ottimizzare il funzionamento della CER spostando le domanda di energia nelle ore di massima disponibilità.

Un'altra criticità sembra essere legata alla mancanza di un chiaro ed esauriente quadro regolatorio. Quale la sua opinione sul punto?

Tutti gli operatori sono in attesa dei decreti attuativi che dovevano essere emanati lo scorso gennaio! Il “Decreto Incentivi” del MASE, che regola la natura sia dell’incentivo alla CER che del contributo in conto capitale previsto dal PNRR, ancorché non accora definitivo, ingenera una serie di dubbi. Ciò nonostante, invitiamo tutti gli operatori ad iniziare la pre-progettualità della CER.

I Comuni cosa devono fare, concretamente, per dare avvio alla procedura?

Devono innanzitutto deliberare sulla costituzione di una CER, avviare con una manifestazione di interessi pubblica l’aggregazione dei membri, individuare spazi dove ubicare gli impianti rinnovabili e, quindi, definire il modello giuridico e di business della CER. Quest’ultimo punto appare il più complesso, anche se sul nostro territorio già ci sono Comunità energetiche rinnovabili in via di sviluppo con diverse finalità, quali ad esempio quella ″solidale″.

In epoca di transizione energetica, in che modo le aree interne del Sannio e dell’Irpinia possono sfruttare al meglio il valore energetico che riescono a garantire al sistema Italia?

Io ribalterei la sua domanda. Premesso che le aree interne sono così ricche di risorse energetiche rinnovabili -pensiamo solo a biomasse ed eolico- dovranno necessariamente svolgere un ruolo determinante nel processo di de carbonizzazione: allora è meglio che siano attori di questo cambiamento o che lo subiscano passivamente? La Comunità energetica, che per definizione non deve avere scopi di lucro e deve promuovere socialmente ed economicamente il territorio di pertinenza, rappresenta un’occasione unica di partecipare attivamente e democraticamente a tale cambiamento. Ancora meglio sarebbe se più Comunità energetiche comunali -come sta già accadendo in Piemonte- si aggregassero in Ambiti territoriali più ampi, condividendo la ″gestione″ della Comunità, degli impianti e dei consumi, al fine di ottimizzarne il funzionamento.

GIUSEPPE CHIUSOLO