L'Amore una via di scampo Cultura
PUTEOLANIS FELICITER
OMNIBUS NUCHERINIS FELICIA
ET UNCUM POMPEIANIS
ET PETECUSANIS
Auguri ai Puteolani,
successi a tutti i Nocerini,
e uncino di morte ai Pompeiani
e ai Pithecusani
Si usava un grosso uncino per trascinar via, legate per le gambe, le persone giustiziate e i gladiatori uccisi in combattimento.
Avevo scelto questo graffito pompeiano di argomento per così dire ‘sportivo’ come sussidio didattico per interessare i miei allievi nella Scuola di Specializzazione in Paleografia Latina nell’Archivio di Stato di Napoli, laureati in Storia, Arte, Letteratura. Non avevo previsto le distrazioni dovute alla presenza in aula di tante ragazze. Occorreva una via di scampo, la trovai nell’amore.
Quel graffito di duemila anni fa scaturì d’impulso nella mente di un antenato degli odierni odiatori che traducono in tragedie anche le più belle occasioni. Per assistere a un incontro/massacro di gladiatori era arrivato a Pompei non da Pithecusa (l’Isola d’Ischia), dato che ne scrisse in modo sbagliato il nome degli abitanti, ‘Petecusani’ anziché ‘Pithecusani’; proveniva forse da Nocera perché augurò ogni successo ai Nocerini, quindi anche a se stesso. Il suo graffito rivela sorprendenti antagonismi tra conterranei. I tifosi vesuviani di Nocera e Pompei si divisero e altrettanto fecero i tifosi flegrei di Pozzuoli e Ischia: fanatici di gladiatori diversi, i Puteolani si unirono ai Nocerini e invece gli Ischitani ai Pompeiani. Il graffito potrebbe riferirsi alla giornata dell’anno 59 d.C. in cui - scrisse Tacito - le feroci risse finali tra Pompeiani e Nocerini nei quartieri della città comportarono la squalifica dell’Anfiteatro di Pompei per ben dieci anni.
Tempo di tragedie quello: dopo tre anni, nel 62 d.C., un violento terremoto tra il Vesuvio e il mare indusse Nerone a revocare la squalifica decennale dell’Anfiteatro di Pompei, ma poi nel 79 d.C. l’eruzione del vulcano distrusse definitivamente la città con i centri circostanti.
Tanti gli enigmi da risolvere in ogni testo scritto di epoca romana, la forma delle lettere, le abbreviazioni e quindi il significato trasmesso. Le mie erano lezioni sulla scrittura corsiva, la più difficile da leggere perché usata per comunicare rapidamente con lettere alquanto scompaginate (nel suddetto graffito la e formata da due trattini verticali paralleli, la A con il tratto interno che tocca solo uno dei due tratti laterali obliqui), molto diverse da quelle della scrittura capitale quadrata fatta di lettere maiuscole regolari che anche chi non sa il latino può leggere sui monumenti.
Decifrare gli enigmi comunque attraeva poco gli studenti, che volevano sapere subito i racconti di quelle scritte sui muri, piene di vita e di informazioni come ancora oggi. La soluzione venne dalla curiosità di una ragazza: “Prof, scrivere parole d’amore nelle strade era vietato a Pompei?”. La sua domanda mi indusse a prendere in considerazione i graffiti d’amore, sempre in scrittura corsiva. Ne scelsi uno, tracciato da un gladiatore:
CRESCE(N)S RETIA(RIUS)
PUPARUM NOCTURNARUM
SERATINUS MEDICUS
Crescente, reziario,
di sera faccio il medico
delle ragazze notturne
L’impegno ‘terapeutico’ del gladiatore reziario Crescente - che di giorno sfidava la morte armato di rete, tridente e pugnale, e di sera andava a…prendersi cura delle prostitute notturne - catturò studenti e studentesse, sorpresi che già duemila anni fa una ragazza venisse detta pupa, bambola, metafora di bambina da coccolare. Ovviamente, immaginare in attività le ragazze dedite al mestiere notturno provocò negli studenti impulsi ben diversi da quelli del romantico graffito di un innamorato:
PUPA QUE BELA ES
Bambola, quanto sei bella
Sguardi languidi s’incrociarono infatti in aula mentre spiegavo che le parole dialettali bela oppure bella venivano usate nel latino parlato al posto del classico pulchrae che forme analoghe si trovano in numerosi altri graffiti, come quello di un giovane che chiese all’amata:
VASIA CUR RAPUI
QUAERIS FORMOSA PUELLA?
Vuoi sapere perché ti ho rubato tanti baci
tu che sei una ragazza così bella?
Ricca di sottintesi, questa dichiarazione d’amore contiene la parola vasia, praticamente uguale a quella usata nell'attuale lingua napoletana per indicare i baci. Lo stesso accade per altre parole e parolacce dell'antica Pompei. Per esempio, un innamorato tradito svergognò la sua ragazza scrivendo:
NYCHERATE VANA SÙCCULA
Nicheratesei una infedele porcellina
A dirla tutta, scrivendo sùccula l’autore del graffito rende evidente che proprio da quel nome è derivato il napoletanissimo zòccola: sùccula era il diminutivo femminile di sus, suis (maiale) e indicava appunto una porcellina, non una… topolina.
“Prof, ci fa vedere anche qualche scenetta d’amore, insomma un po’ di street art?”. Per mantenere l’attenzione di un fremente voyeur mostrai la famosa immagine delle Avances (FOTO) dipinta nella Casa di Cecilio Giocondo, senza passare a scene di sessualità più esplicite. Ma tornai ai testi, soprattutto alle proteste di ragazze infastidite:
INDECENS ES
sei uno sporcaccione
scritto su un muro da Virgula per tenere a bada il suo ragazzo Tertius, e poi il rifiuto di una certa Serena:
SERENA ISIDORUM FASTIDIT
Serena non sopporta Isidoro
E dopo la brevissima, timida frase di una ragazza povera costretta a vendersi per un misero compenso:
SUM TUA AERE
sono tua per una monetina di rame
alla fine commosse tutti gli studenti del Corso di Paleografiati posso vedere? La gioia dichiarata pubblicamente da un padre su un muro di strada:
IUVENILLA NATA DIE SATURNI
HORA SECUNDA VESPERTINA
IIII NONAS AUGUSTAS
è nata Iuvenilla sabato,
alla seconda ora del vespro,
quattro giorni prima delle None di agosto
Era nata il 2 agosto del 79 d.C. la piccola Iuvenilla. Meno di tre mesi dopo, il 24 ottobre secondo recenti scoperte archeologiche, la bambina e il suo felice papà furono sepolti dalla lava.
A loro due l’amore non diede scampo.
ELIO GALASSO