Cultura - Viaggio nella lotta all’analfabetismo

Viaggio nella lotta all’analfabetismo Cultura

I dati ISTAT in provincia di Benevento Ancora 11.00 analfabeti nel Sannio Il 13 per cento dei censiti risultano senza alcun titolo di studio: Il 6,2% laureati e 24,7% diplomati In base ai dati definitivi ISTAT del 14° Censimento generale della popolazione, di recente ripresi, in occasione della pubblicazione dell’Annuario Statistico italiano (anno 2005), in riferimento alla istruzione risulta che, al 21 ottobre 2001, il 6,2% (16.668) dei residenti della provincia di Benevento ha conseguito un diploma di laurea, riportando un valore superiore a quello regionale che risulta essere del 6,1%. La quota dei residenti in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore è, invece, pari al 24,7% (ossia 66.722 in valore assoluto). Di questi ultimi quasi il 21% ha conseguito la maturità liceale, valore che, se confrontato con le altre province campane, è preceduto solo dalla provincia di Salerno con un 21,9%. Più alto risulta il peso sul totale dei cittadini aventi la licenza media inferiore, rispetto alla licenza elementare, rappresentando rispettivamente un 27,6% contro un 22,9%. Gli alfabeti senza alcun titolo di studio (13,7%) risultano, invece, in proporzione tre volte il numero degli analfabeti (10.913 in valore assoluto, pari al 4% del totale residenti di sei anni e più). Sempre alla data del censimento 2001, risulta che il 95,7% dei ragazzi, di età compresa tra i 6 e i 14 anni, sono iscritti ad un corso regolare di studi. Il tasso di iscrizione diminuisce al crescere dell’età, fino ad arrivare al 92,3% dei quattordicenni, parte dei quali potrebbero aver conseguito la licenza media e deciso di non proseguire gli studi per entrare nel mondo del lavoro. La provincia campana con una percentuale più alta di ragazzi tra i 6 e i 14 anni iscritti ad un corso regolare di studi è Salerno, con il 95,9%, seguita da Benevento (95,7%), Avellino (95,4%), Napoli (95,2%) e, infine, Caserta (94,7%). La provincia, invece, in cui la dispersione scolastica è più elevata è Caserta con il 5,3% di non iscritti, seguono Napoli e Avellino che, con 4,8% e 4,6%, riportano percentuali superiori la media regionale (4,7%). Pubblichiamo qui di seguito uno studio sull’analfabetismo del preside Vittorio Barbieri:

 La situazione storico-sociale ed economica dell’Italia alla soglia del secolo ventesimo quale contesto nel quale si andava attuando a fatica la lotta contro l’analfabetismo. Con la conquista del Sud e poi con la presa del Veneto e di Roma, sembrò che fondamentalmente l’unificazione dell’Italia fosse stata realizzata. Invece, con l’unità territoriale e politica, raggiunta con le guerre risorgimentali, restavano ancora da risolvere problemi gravissimi. Questi problemi erano il frutto di tensioni, che emergevano da regioni italiane, che avevano caratteristiche politiche, economiche e sociali diverse tra loro e contrastanti con le avanzate organizzazioni economiche e socio-culturali delle regioni del Piemonte e della Lombardia. Per ragioni storiche, il Sud fu la regione che maggiormente avvertì il disagio della nuova situazione politica ed economica italiana. In via preliminare, va subito detto che il Sud fu la regione che trasse i minori vantaggi dall’unificazione dell’Italia. Turbato profondamente dalle vicende storiche dell’unificazione, si trovò inserito nel corpo della nazione italiana senza essere sufficientemente preparato. Il Sud, però, non fu l’unica regione italiana a soffrire in quegli anni. Anche l’Italia centrale, fatta la debita eccezione della Toscana, e vaste zone del Veneto soffrirono molto in seguito al processo di unificazione. Perché si verificò tale situazione? Innanzi tutto, il processo di unificazione sconvolse profondamente le strutture economiche e sociali delle regioni, che, prima dell’unificazione, non avevano subito quel processo di rivoluzione borghese ed industriale, che era cominciato nel Piemonte e nella Lombardia da molto tempo. In queste regioni, e un po’ in Toscana e in Emilia, si era formato un ceto attivo di borghesi, che avevano preso il controllo della vita economica e culturale. Tale ceto, anche se in parte per raggiungere personali obiettivi di utilità, non trascurò di provvedere ad alfabetizzare le masse e a curare la preparazione professionale degli operai e quella dei dirigenti e dei tecnici delle industrie. Con tale strategia, favorì la circolazione della cultura ed allargò il numero delle persone che godevano dei beni materiali provenienti dal lavoro delle industrie. Invece, nelle altre regioni, i governi repressivi ed oscurantisti, impedirono questo fenomeno e gli uomini più capaci furono costretti ad esulare in Piemonte, distaccandosi quasi completamente dalla vita e dai problemi dei loro paesi d’origine. Infine, mentre la nobiltà delle regioni settentrionali investì le proprie sostanze nel mondo dell’industria e si adoperò a razionalizzare, secondo le possibilità di quegli anni, l’agricoltura, la nobiltà meridionale, oziosa ed ostinatamente attaccata ai propri privilegi, mirò solo a conservare le proprie sostanze o ad aumentarle con la politica matrimoniale, con la rendita fondiaria o, addirittura, con la pratica dell’usura. Questa situazione, ancora quarant’anni dopo l’unificazione, si esprimeva sul piano culturale nel fenomeno dell’analfabetismo, che raggiungeva punte drammatiche in Campania, nella misura del sessanta per cento, e in Calabria, nella misura dell’ottanta per cento. L’analfabetismo interessò(forse in percentuale maggiore) le comunità montane e pedemontane del Sannio Beneventano. Certamente, l’analfabetismo non fu un segno di inciviltà o di inferiorità mentale, ma una barriera che impedì a vasti strati della popolazione di aprirsi alle idee e alla cultura, che dovevano aiutare l’Italia unita a realizzarsi in una unità di coscienza e di ideali. Sul piano economico, l’analfabetismo produsse gravissime conseguenze, giacchè impedì che le idee, che avevano favorito il rinnovamento e il miglioramento economico del Piemonte, della Lombardia e della Liguria, fossero recepite dal popolo. Inoltre, mise la classe dominante nelle condizioni di sfruttare le popolazioni del Sud, dell’Italia Centrale e dell’Est e, conseguentemente, rese queste popolazioni sempre più disponibili per azioni rivoluzionarie. Ciò portò fatalmente ad un urto fra i gruppi di potere e le masse disagiate e quest’urto si prospettò grave, in quanto, fra gli uni e gli altri la comunicazione fu particolarmente difficile. In buona sostanza, l’analfabetismo e i pregiudizi impedirono che le masse ascoltassero la voce della borghesia dominante e che si facessero ascoltare da essa. Questa situazione oggi ci consente di capire perché mai si giunse alle gravissime crisi dei governi Pelloux e Crispi, che culminarono con l’uccisione del re Umberto I. Tutto ciò ci fa cogliere il ruolo avuto dal movimento anarchico e quello avuto dal partito socialista in quegli anni tristissimi in cui non sempre gli ideali erano alieni da uno spirito di esaltazione fanatica. Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, si adoperò a che i gruppi dominanti prestassero ascolto alle domande del popolo. Così si cominciò non solo a guardare alle masse operaie del Nord, ma anche alle regioni del Sud, dove le popolazioni, vissute, per tanto tempo, modestamente, ma serenamente sulle terre baronali, ecclesiastiche o demaniali, godendo dei diritti, che il vecchio regime borbonico aveva garantito, erano ridotte alla fame e alla miseria.  Come realizzare il riscatto dalla miseria delle popolazioni del Sud. Il problema non era di facile soluzione. Per riscattare dalla miseria le popolazioni del Sud e favorire la loro autonomia, bisognava soprattutto provvedere alla loro formazione di base ovvero abbattere i pregiudizi millenari, rimuovere situazioni di privilegio e dar vita ad un ceto attivo e diligente che potesse assicurare al tormentato Sud il suo inserimento nel mondo della cultura e della produzione. All’epoca, purtroppo, mancavano le scuole e i docenti e difettava soprattutto l’organizzazione scolastica. Non mancarono, però, uomini coraggiosi che si adoperarono a realizzare la legge Casati del 1860, la legge Coppino del 1888 e soprattutto le direttive del 1905 di Francesco Orestano. In particolare, giova ricordare che, nelle comunità sannite, prima, durante e dopo il primo conflitto mondiale, veniva praticata “la professione dello scrivano pubblico” che, su richiesta, compilava lettere, che, generalmente, venivano articolate in modo da far sentire il ricordo vigile ed affettuoso delle famiglie di origine ai parenti emigrati, residenti in terre lontane, ai soldati al fronte, alle persone comunque lontane dalla terra natia. Le lettere d’amore, invece, venivano compilate da persone, giudicate dall’opinione pubblica, sensibili, discrete, affidabili. Le lettere di petizione e di raccomandazione venivano scritte dal parroco, che allora era considerato parte integrante delle famiglie. Infine, chi svolgeva una funzione pubblica era quasi obbligato dalla consuetudine a fornire, su richiesta, consigli anche di natura giuridica. E, secondo un rito antico, veicolante contestualmente gratitudine e sudditanza, si bussava alla porta delle case delle persone titolari di prestigio sociale con i .......piedi, perché le mani erano utilizzate nel trasporto di doni.  Il fenomeno dell’analfabetismo dopo il secondo conflitto mondiale Le popolazioni del Sud, dopo la sconfitta militare e il crollo della dittatura fascista, erano ancora interessate dal fenomeno dell’analfabetismo. Infatti, in Lucania, in Calabria e in alcune plaghe dell’entroterra della Campania, ove l’industrializzazione costituiva ancora un sogno proibito e dove esisteva ancora viva e drammatica un’organizzazione sociale ed economica chiusa, l’analfabetismo era una triste realtà. In queste zone, la scuola soprattutto nella seconda metà degli anni cinquanta, tentò, anche con l’attivazione di corsi serali e festivi per gli adulti, di far circolare la cultura e di inserire gli individui con positività, nel mondo della produzione, ma spesso la sua azione risultò improduttiva. Perché? Secondo me, l’analfabetismo non scomparse del tutto dalle regioni meridionali, perchè le scuole per adulti analfabeti ebbero un difetto di fondo, che riguardava essenzialmente la metodologia operativa degli insegnanti. In genere, i corsi serali per adulti analfabeti erano diretti da giovani maestri non sempre qualificati, che sollecitavano gli adulti alla frequenza, essenziale per la sopravvivenza della scuola stessa, elargitrice di punteggio utile per il il futuro e definitivo inserimento degli insegnanti nel mondo della scuola. In pratica, spesso si verificava che l’adulto, già profondamente inibito dalla sua incapacità di inserirsi nel mondo della cultura da solo, si vedeva sovente trattare come un bambino o, peggio ancora, come un rimbambito. Solamente pochi maestri, illuminati dalla vocazione e determinati ad agire per la promozione dell’umano, ebbero la sensibilità di far entrare nella scuola degli adulti analfabeti i problemi di vita reale e, per ciò che concerneva la tecnica dell’insegnamento della lettura e della scrittura, utilizzarono una strategia metodologica, che teneva nella massima considerazione le esperienze di vita e le abilità motorie e pratiche di ogni loro discepolo. Allora, per eliminare completamente l’analfabetismo, era necessario che le scuole per adulti analfabeti fossero affidate ad operatori scolastici seriamente preparati e disposti ad impegnare la loro intelligenza e la loro esperienza in un lavoro, che tendesse a ridare alle persone, duramente provate da tante non liete vicende umane, la certezza di poter realizzare una vita più giusta, libera dai condizionamenti e dai compromessi.  L’analfabetismo di ritorno. Gli analfabeti, quelli classici della fine del secondo millennio, sono scomparsi, anche per naturale e spontaneo esaurimento, ma diventa sempre più significativa la presenza degli “analfabeti moderni” ovvero di coloro che, pur possedendo la tecnica della lettura e della scrittura, sono in difficoltà nell’interpretare un messaggio, nell’individuare le positività e le negatività veicolate dai mass -media, nell’operare autonomamente delle scelte, eccetera. L’analfabetismo di ritorno coinvolge anche gli anziani che, fuori per età e malattia dai circuiti produttivi ....., vedono ridursi le possibilità di utilizzazione degli spazi culturali propri dell’odierna organizzazione della vita. In particolare,“i nuovi analfabeti” crescono perché non amano erudirsi , allenare la mente a superare gli ostacoli di ordine interpretativo e di vita vissuta. Sono, a mio avviso, più deboli degli analfabeti dello stato postrisorgimentale e della civiltà contadina. In quei tempi, l’analfabeta era cosciente dei propri limiti e aguzzava la mente e allenava il corpo per superare le difficoltà. Sapeva affrontare i problemi della vita. I calcoli matematici, relativi alla vita, se li faceva a mente e non sbagliava. Cercava con la forza dei valori di essere dignitoso anche nelle situazioni di soccombenza. L’analfabeta di oggi è fragile, negligente, dogmatico, capriccioso e prepotente: non si mette in gioco e aspetta dalla famiglia di appartenenza le sicurezze di cui ha bisogno. Così si emargina e sprofonda nella solitudine, diventando cedevole anche ai compromessi morali. Naturalmente, questa forma pericolosa di analfabetismo va combattuta, per impedire che il degrado si insinui, con la complicità degli spiriti pigri, nella vita di tutti e di ciascuno.  Come? Naturalmente, bisogna realizzare un incessante processo di alfabetizzazione che coinvolge tutti i paesi, compresi quelli che già godono dei vantaggi prodotti dall’introduzione della tecnologia informatica in tutti i campi della società civile. In buona sostanza, l’essere umano, nell’arco della propria esistenza, deve costantemente affinare gli schematismi interpretativi, operativi, espressivi, comportamentali ed assilogici, di cui è portatore, per evitare di vivere il dramma dell’inadeguatezza culturale di fronte alle situazioni problematiche, prodotte dall’eterno fluire della realtà. La conquistata capacità di ben orientarsi nei sentieri della cultura e della vita gli consente di realizzare una sempre più adeguata armonia tra l’utilizzazione del pensiero convergente e del pensiero divergente, di contribuire alla costruzione della civiltà del dialogo, la più coinvolgente utopia del nostro tempo, di navigare con ottimismo nel mare dell’umanità.
Vittorio Barbieri