L'ossimoro della nostra generazione: lavorare gratis! Economia

Ci chiamano “millennials” perché siamo, appunto, la “generazione del millennio”, quella in cui l’umanità ripone le speranze. Non è un po’ pretenzioso, da parte delle vecchie generazioni, caricare noi, giovani adulti, di responsabilità che loro non hanno voluto, o saputo, prendersi?

Siamo “quelli” nati insieme alla tecnologia, siamo “quelli” che segnano il passaggio verso una nuova era, siamo “quelli” multitasking, siamo “quelli” che dovevano cambiare il mondo e lo cambieremmo davvero, se loro ce lo lasciassero fare.

Siamo anche gli incompresi, soltanto perché non abbiamo ancora trovato il nostro posto nel mondo. Ma, incompresi da chi? Da tutti coloro che ci promettono infiniti spazi, per poi gettarci dentro scatole chiuse. Siamo la generazione di transizione: né troppo giovani, né troppo adulti. Siamo pieni di dubbi, di perché e di contraddizioni. Abbiamo, però, anche tanta voglia di fare, di scoprire e di imparare.

Peccato che nessuno se ne accorga.

Ci siamo iscritti all’Università per ampliare le nostre conoscenze e arricchirci culturalmente. Abbiamo completato gli studi, carichi e speranzosi di gettarci nel mondo del lavoro, un mondo che, però, ci ha sempre rigettato.

Lei non ha nessuna esperienza lavorativa”: quante volte abbiamo sentito questa frase. E avremmo voluto rispondere: “Bè, certo, ho appena finito l’Università. Sono qui per imparare, per fare esperienza”. E invece, mettendoci l’anima in pace, abbiamo chinato la testa, temerari e speranzosi che la prossima volta sarebbe andata meglio. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cominciato a costruire il nostro CV. Mesi di stage e di tirocini non pagati, che ci hanno portato a credere che, finalmente, avremmo avuto la nostra opportunità.

Disposti a fare esperienza gratuitamente, a sottostare a orari assurdi, pur di imparare. E, nel frattempo, aggiungevamo un Master alla nostra carriera perché, ahimè, il pezzo di carta fa sempre la sua parte.

Ed eccoci, dopo la fine di un Master e un paio di tirocini gratuiti, pronti per il lavoro dei nostri sogni. “Le offriamo un contratto di tirocinio per 6 mesi, con un rimborso spese, poi si vedrà”. Ancora un tirocinio? Stringiamo i denti e accettiamo, perché “è un tirocinio part-time e nel frattempo posso fare anche altro”. Peccato che quel part-time occupi una fascia oraria che sfiora le 8 ore e con quel rimborso spese non riusciamo neanche a pagare l’affitto. Eppure, anche stavolta stringiamo i denti, perché crediamo davvero in quel futuro, tanto atteso. Trascorsi i sei mesi, inutile dirlo, non arriva nessuna promozione, nessun aumento, siamo di nuovo al punto di partenza.

Non ci diamo per vinti, siamo determinati, testardi, siamo pronti a tutto pur di farci valere. Cerchiamo altro e accumuliamo una serie di esperienze lavorative e, alla fine, siamo talmente esausti che non ne possiamo più. Ma esausti di cosa?

Di lavorare gratis, perché, alla fine, è questo che facciamo. Lavorare e gratis, due termini che non dovrebbero neppure coesistere.

Lavorare: in senso lato significa applicare energia verso un fine determinato. Dunque, noi ci impegniamo, passiamo le ore davanti al computer, o in ufficio e, alla fine, come veniamo ricompensati? Con il cosiddetto rimborso spese, che equivale al famoso “contentino”,

pur di farci credere di essere pagati. Parliamo di cifre che, se ci va “bene”, raggiungono i 600 euro, se ci va male, sfiorano gli 80 euro mensili. Si, avete capito bene: 80 euro al mese per “lavorare” 6 giorni su 7, 600 euro per lavorare full-time.

È tutta esperienza”, così dicono. Si, e nel frattempo, se facessi volontariato sarebbe la stessa identica cosa? E hanno anche il coraggio di chiamarlo lavoro?

Uno stage, un tirocinio è finalizzato all’assunzione, o, almeno, così dovrebbe essere. Invece, siamo la generazione degli eterni stage, siamo “quelli” che accumulano esperienza, nello stesso idenchetico modo in cui accumulavamo figurine dei Pokémon.

Pretendono tanto da noi, senza darci nulla in cambio.

Questo discorso, però, vale soprattutto per le lauree umanistiche perché, per opinione comune, “con la cultura non si mangia”. In realtà, non si mangia lavorando gratis, con la cultura ci si potrebbe costruire un impero.

Abbiamo la libertà di scegliere chi essere e chi diventare, ma non possiamo farlo, perché siamo bloccati in un mondo pieno di ossimori, dove “siamo troppo grandi per imparare ancora, ma siamo troppi piccoli per governare”.

Se solo venissimo ascoltati, se solo ci venissero date le opportunità, quelle vere, noi saremmo pronti a rimboccarci le maniche. Quando sarà il nostro tempo? È già passato, o deve ancora venire?

Siamo “quelli” delle contraddizioni, “quelli” che si danno da fare, “quelli” che sperano, siamo “quelli” che chiamate futuro, senza darci modo di esserlo davvero. Siamo “quelli” che hanno la voglia di strafare e il bisogno di volare, senza che nessuno ci tagli le ali.

ELENA CALABRESE