I giochi on line sono la nuova emergenza sociale Società

Uno dei mali che affliggono l’uomo contemporaneo è la ludopatia, altresì nota come dipendenza dal gioco. La sua forma più comune ha a che fare con il gioco d’azzardo e numerosissimi sono i casi riportati dalle cronache di persone che hanno perduto i propri averi a causa delle carte, delle scommesse o, in tempi più recenti, dei videopoker.

Da diversi anni il gioco d’azzardo è anche e soprattutto un affare legale che ha come biscazziere lo Stato, detentore del monopolio dei giochi, delle lotterie e delle scommesse legali, tutte attività che naturalmente sono riservate ai maggiorenni. Questa piaga con gli anni ha dilagato al punto tale che di recente lo Stato stesso ha ritenuto necessario porvi un argine. Prima con blande avvertenze sul fatto che il gioco può creare dipendenza, poi inserendo nel recente decreto dignità il divieto di trasmettere spot televisivi relativi al gioco d’azzardo (divieto che entrerà in vigore a partire dal prossimo anno).

E non è detto che in un futuro prossimo non siano introdotte altre misure più rigide per contrastare ciò che da semplice passatempo ha finito per rivelarsi un male diffuso, che provoca costi sociali non indifferenti. Da questo punto di vista, il gioco si sta rivelando affine al fumo, anche se molti faticano a rendersene conto.

Sotto molti aspetti, potrebbero essere ritenuti assimilabili al gioco d’azzardo anche i giochi online, altro passatempo che rappresenta in realtà un business da parecchi miliardi di euro. Dai più innocui ed elementari giochini per smartphone come Candy Crush fino ai sofisticati giochi online mmo (acronimo inglese che sta per massive multiplayer online, cioè gioco in rete di massa multigiocatore), diffusissimi non solo sui pc ma anche sulle consolle di ultima generazione.

Tali giochi nascono quasi tutti negli Stati Uniti o in Giappone, hanno una platea che va dagli adolescenti fino ai quarantenni/cinquantenni e si caratterizzano per il fatto che molto spesso non richiedono un esborso in denaro per giocare. E comunque, anche quando si paga, non si vincono mai soldi (sarebbe una violazione del monopolio statale sull’azzardo).

Eppure, ciò nonostante milioni di persone in tutto il mondo pagano un abbonamento mensile per giocare a World of Warcraft (ritenuto dalle riviste specializzate nel settore uno dei giochi che crea maggiore assuefazione) o spendono costantemente soldi veri per potenziare i loro personaggi virtuali in League of Legends o Fortnite. Molti giochi sono caratterizzati dal fatto che, se giochi gratis, puoi raggiungere un certo livello, ma se vuoi essere tra i più forti e competitivi, devi pagare. E più paghi, più diventi forte.

Sembra irrazionale, eppure questi giochi catturano le masse come poche altre attività. Sui social i più accaniti giocatori si vantano di aver effettuato autentiche maratone di gaming online: intere nottate, addirittura 24 o 36 ore di fila trascorse a giocare senza mai uscire dalla propria stanza, mangiando solo merendine, bevendo caffè in lattina o bevande energetiche a non finire ed utilizzando bottiglie di plastica per evitare di andare in bagno (gli utenti di giochi online sono per la maggior parte di sesso maschile, anche se le donne sono in rapido aumento).

Tutto per poter affrontare avversari in duelli virtuali, facendo crescere di esperienza i propri personaggi e rendendoli via via imbattibili. Dimenticando però un vecchio detto fondamentale e mai sorpassato, che un bel gioco dura poco. Invece i giochi online hanno la caratteristica di non avere fine: non c’è un boss da sconfiggere o una principessa da salvare per terminare la partita, si gioca da soli o in squadra contro altri player da ogni parte del mondo e nessuna partita è necessariamente l’ultima.

In questo campo, a differenza del gioco d’azzardo, ancora non sono state prese misure per limitare gli eccessi. Quello attualmente in carica è, dal punto di vista anagrafico, il governo più giovane nella storia della Repubblica Italiana. Non abbastanza giovane evidentemente per capire la portata di quella che un domani potrebbe trasformarsi in una nuova emergenza sociale.

CARLO DELASSO